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Vanessa Ferrari

14 MIN

La palestra nella quale ho iniziato a fare ginnastica era davvero molto, molto piccola.

Era divisa su due piani.

Al piano terra ci dedicavamo principalmente al riscaldamento, poi, per gli esercizi più complicati, si scendeva di sotto.

Al primo piano infatti c’erano le travi basse ed era difficile provare ad imparare i movimenti più complessi.

Se si provava a salire su quelle alte ad ogni rotazione si finiva col picchiare la testa contro il soffitto.

Il quadrato era rigido e ne mancava un pezzo rispetto a quello classico.

Lo spazio dedicato alle diagonali finiva con l’angolo per gli atterraggi scavato in una buca, coperta dai tappetini per renderla morbida.

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Al piano di sotto c’erano le parallele.

Un paio infilate in una buca e le altre quasi appiccicate al muro.

Allenarsi li sopra era come camminare su un filo da equilibrista, con il rischio di cadere di qua o di là e finire contro qualcosa di solido.

Sono tante le bambine che oggi, in Italia e altrove, iniziano con la ginnastica in palestre del genere, proprio come ho fatto io, la differenza principale è che in quel piccolo spazio, in cui ho lasciato una fetta di cuore, io ho preparato i Mondiali del 2006.

In Danimarca ad Aahrus.

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Nel 2006 io avevo appena 15 anni ed ero appena più di una bambina anche per il nostro sport nel quale si emerge presto.

Ero però una bambina cresciuta veramente in fretta.

Come quasi tutte le passioni dei più piccoli anche la mia era nata davanti alla tv, guardando non so bene quale gara e innamorandomi perdutamente della ginnastica.
Mia mamma Galia inizialmente, forse cercando di approfittare della dolce ingenuità di una bimba, provò a portarmi ad un corso di danza classica invece che in una palestra: era notevolmente più vicino a casa.

Ma io ero già super determinata, cocciuta e testarda e avevo già capito bene che volevo fare la ginnastica.
Punto.

Finalmente trovammo una palestra e così  iniziò il mio percorso nel mondo della ginnastica artistica alla Liberi e Forti di Castelleone nel 1997.

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A partire dall’anno seguente e fino al Mondiale del 2006 la mia casa sarebbe stata la palestra Brixia, a Brescia.

Resta la mia palestra anche oggi, seppur rinnovata.

Me la trovò mia mamma ovviamente, sempre pronta ad annaffiare la pianta del mio talento con cura, dolcezza e pazienza.

Al provino ci siamo presentati con tutta la famiglia al completo, e mi sono allenata sotto gli occhi di Enrico Casella, un uomo che si rivelerà fondamentale per la mia crescita.

Ad essere del tutto sincera il primissimo approccio con la palestra non fu esattamente solo rose e fiori.

Per fare un esercizio mi avevano tirato le spalle sulla trave e io per il male mi sono messa a piangere disperata.

Se vuoi, non ci torniamo più, dolcezze di una madre.

Ci sarei tornata, eccome!

Mi ci sono quasi trasferita dentro quella piccola palestra!

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Fu così che iniziò il via-vai giornaliero tra Soncino e Brescia che ci costava ogni volta un centinaio di chilometri: tempo, denaro e spazi che di solito le adolescenti usano per tutt’altro.

La passione però mi ha sempre proiettata avanti, sospinta verso il futuro che sentivo essere legato a doppia mandata agli attrezzi della ginnastica.

Ore ed ore di allenamenti durissimi.

Il talento da solo non basta.

Ma anche moltissimi successi, fin dai primissimi anni.

Dalla categoria Allieve a quella Juniores, dai Campionati Assoluti ai titoli italiani per Società, tutto lasciava intendere che il mio fosse il percorso di una predestinata.

La verità è però sempre una medaglia dalle molte facce e, dietro questi risultati si nascondeva una routine pesantissima, fatta di sacrifici pazzeschi, ad un’età in cui è difficile capirne al 100 per cento il significato.

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A mano a mano che crescevo e la mia attività si intensificava, la piccola palestra Brixia non bastava più alle mie esigenze.

Servivano nuovi spazi, strutture adeguate e attrezzature all’avanguardia per spingermi un po’ più in là.

Il progetto di ampliamento della nostra casa a Brescia era già pronto da tempo, ma i lavori non sembravano mai pronti a partire, impantanati nella lentissima burocrazia italiana.

Ero arrivata al punto di non ritorno e fui costretta a riprogrammare la mia vita.

La vita di una ragazzina appena quindicenne, con i problemi e i desideri di qualsiasi quindicenne ma con un talento visibile al mondo e una ferocia di arrivare propria degli adulti

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Per anni la mia settimana è stata quasi equamente divisa tra le palestre di Brescia, Milano e Trieste, per potermi allenare adeguatamente.

Un pendolarismo pazzesco, davvero alienante che mi lasciava pochissimi istanti per me, la domenica per lo più.

Giorni interi in pedana e giorni interi in auto.

Viaggi e collegiali.

Medaglie e sacrifici.

La presenza costante della famiglia è stata una delle mie rocce più solide su cui fare affidamento, perché una quotidianità così impegnativa sembra programmata per spezzarti, per allontanarti da tutto.

In più il nostro sport è prima di tutto una sfida a sé stessi.

Di squadra, ok.

Ma sulla pedana, sulla trave e sulle parallele sei da sola.

Il coach non ti può parlare durante l’esercizio e tu volteggi a testa in giù da sola, davanti ad un muro di gente.

La solitudine dei numeri primi.

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Nel 2005 ero entrata nella Nazionale senior, per i Giochi del Mediterraneo di Almeria: una medaglia per ogni evento: oro alla trave, corpo libero, volteggio, concorso individuale e concorso a squadre; argento alle parallele asimmetriche.

Mi sono portata a casa 5 ori dei 6 totali in palio e un argento, e, ad essere sincera, ho fatto persino fatica a digerirlo il sesto mancato.

Lucida follia di una mente giovane, che candidamente guarda solo in alto e mai verso il basso.

Mi chiamavano la farfalla di Orzinuovi, da quel giorno il mio allenatore azzardò il soprannome cannibale, come il grande Merckx.

Hans Christian Andersen era danese ed ha scritto fiabe bellissime, le conosciamo tutti: la Sirenetta, il brutto anatroccolo, la piccola fiammiferaia.

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Passeggiando per le strade di Aahrus, seconda città più popolosa della Danimarca e sede del Mondiale 2006, forse sarebbe stato ispirato dal mare e avrebbe potuto scrivere di una piccola farfalla italiana e della sua storia.

Il 2006 è stato un anno pazzesco per me.

Tanto nel bene quanto nel male.

Con la Brixia: settimo scudetto, il quarto di fila.

Con la Nazionale insieme a Monica Bergamelli, Carlotta Giovannini, Federica Macrì e Lia Parolari per la prima volta abbiamo vinto la medaglia d'oro nel concorso a squadre, mentre io, da sola, l'argento al corpo libero.

Passata da junior a senior ero entrata nella categoria dei pesi massimi (si fa per dire!) della ginnastica e lo avevo fatto con la forza di un ciclone.


Ma proprio mentre preparavo l’appuntamento con il Mondiale è venuta a mancare mia nonna.

Una figura fondamentale per me e per tutta la mia famiglia, era la classica nonna vicina alla propria famiglia, premurosa ed innamorata dei propri nipoti che tutti sognano di avere.

Ascoltava i nostri sogni e i desideri, ci coccolava nei momenti tristi e perdonava le marachelle.

Dedicava una meticolosa attenzione ad ognuno di noi.

Fu un duro colpo per me, era il primo pezzo di cuore che perdevo nella mia vita, per di più in un momento così pieno di trasformazioni.

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L’appuntamento si presenta in fretta, Ottobre arriva a grandi balzi ed è esordio al Mondiale.

Per la prima volta nella storia della ginnastica italiana, un’atleta si qualifica per quattro finali mondiali: concorso individuale, parallele asimmetriche, trave e corpo libero. 

L'esito della qualificazione per il concorso a squadre non è altrettanto felice: ci piazziamo al nono posto, niente finale.

Alla vigilia della grande gara mi sentivo preparatissima, ero stata la prima ginnasta italiana ad eseguire lo Tsukahara avvitato (detto anche "Silivas"), un elemento difficilissimo che poche al mondo sanno fare, e la prima al mondo ad proporre un esercizio con cinque diagonali, permesso fino alle Olimpiadi del 2008, mentre ora il limite massimo è di quattro diagonali.

 Mi sentivo leggera e feroce insieme.

Non so dire se dall’alto mia nonna stesse guardando, o se mi stesse aiutando.

Mi sarebbe piaciuto saperla tra gli spalti o davanti alla tv a fare il tifo per me.

Spero almeno che l’eco della mia gioia le sia arrivato, ovunque fosse.

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Due settimane prima di compiere 16 anni: la grande finale.

Ero in testa dopo la seconda rotazione con 30,625 punti.

Durante la terza rotazione alla trave, cado mentre faccio un salto raccolto con un avvitamento: un punteggio di 14,900 e scendo al secondo posto della classifica generale.

Rabbia profondissima, stringo i pugni che più forte non si può.

Mi riprometto di non sbagliare più neanche le virgole.

Ultimo attrezzo.

Per tutta la palestra risuona a volume pazzesco il Nessun Dorma ed io entro in pura trance agonistica.

Leggera, sorda alle grida del pubblico, serena e arrabbiata insieme, metto lì uno dei miei migliori esercizi di sempre.

Un esercizio quasi perfetto: 15.500 punti.

Sono la nuova Campionessa del Mondo!

Davanti all’americana Bieger e alla romena Izbasa.

Si tratta di una prima volta non solo per me ma per la storia della ginnastica italiana: la medaglia d'oro nel concorso generale individuale. 

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La vittoria al Mondiale ha ovviamente cambiato molte cose e reso la mia vita ancora più dolcemente incasinata.

Agli allenamenti si sono aggiunte le interviste, i viaggi e l’esposizione mediatica; un’attenzione enorme, che mi sono guadagnata ma anche molto difficile da incastrare nella ruotine abituale.

L’Italia per certe cose è un Paese strano, mille eccellenze e poi ci si incastra in cose piccole piccole.

A volte serve il guizzo di un campione come è stato il mio a ricordare alle istituzioni l’importanza della cura della base, delle strutture.

Posso dire che è stato grazie a quell’oro se nel 2007 il progetto per la palestra nuova si è definitivamente sbloccato, regalando a me una nuova casa per allenarmi e a tutte le altre atlete italiane il principale centro tecnico della Nazione.

Si tratta di una prima volta non solo per me ma per la storia della ginnastica italiana: la medaglia d'oro nel concorso generale individuale.


Mi piace sempre ricordarlo.

Chi passa di là magari non lo sa quanto quel Mondiale sia stato importante per permetterne la costruzione.

Ci entrano atlete giovanissime, piene di sogni e desideri, che neanche immaginano quanta forza di volontà servisse per allenarsi sulla trave in una palestra dal soffitto così basso che, se ci saltavo, picchiavo la testa.

Vanessa Ferrari / Contributor

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