Asia Wolosz

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Ho sempre avuto un carattere forte, io.

Ho sempre avuto un’idea strana in testa, e la volontà di arrivare fino in fondo.

Di vedere cosa succede quando la realizzi davvero.

Sono sempre stata indipendente, forse anche troppo.

Desiderosa fin da subito di esprimere me stessa, di far vedere quanto fossi diversa dagli altri, nel bene e nel male.

Da bambina, quando ho fatto i primi passi, mia mamma mi ha trovato in piedi sul tavolo. Come ci fossi arrivata, nessuno lo sa, ma a ben vedere sembra già l’immagine perfetta per descrivere la donna che sarei diventata.

La mia infanzia la ricordo a colori, piena di sole.

La ricordo in un prato, a scorrazzare sulla bicicletta, quella senza pedali, che devi usare i piedi per restare in equilibrio.

Con la nonna che mi guarda dolcemente.

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Eppure so, so con certezza, di non essere stata una bambina facile.

Di non essere stata la piccola principessina che tutti i genitori sognano.

Rock&roll fin dal principio.

Impegnativa spesso.

Decisa sempre.

Mi dovevi quasi inseguire, per avere la mia attenzione, perché io andavo per gli affari miei, senza preoccuparmi del resto.

Ero la custode della casa sull’albero, la padrona del mio mondo.

Ero anche la piccola di casa, e questo ha sicuramente influito.

Mia sorella ha quattro anni più di me, e mio fratello, a sua volta, quattro più lei, il che ci rendeva molto distanti, quantomeno sulla carta.

Loro erano già grandi quando io non lo ero ancora.

Loro facevano scelte e prendevano decisioni quando io ancora non potevo.

E forse è proprio per quello che ho sviluppato un’indole completamente diversa dalla loro.

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Buoni e gentili loro.

Casinista e rumorosa io.

Ecco, non ci siamo piaciuti proprio subito-subito.

Ho iniziato ad apprezzare davvero mio fratello soltanto quando sono dovuta andare dall’altra parte della Polonia per giocare a volley, e ho cominciato a riconoscere quello che il suo esempio aveva fatto su di me.

Calcio, corsa, salto in lungo: io avevo provato qualsiasi sport, ma niente era mai come la pallavolo.

La pallavolo era diversa.

Quella restava sempre.

Anno dopo anno.

Quella aveva un sapore unico.

E quella era, ovviamente, anche la sua disciplina.

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Con la voglia di fare la mia strada e non di ripetere quella degli altri, ma anche cosciente del fatto che l’ispirazione, da qualche parte, doveva essere arrivata, appena ho avuto l’età per farlo ho provato ad affrontare il mondo.

Ho provato a prendere il fuoco che sentivo dentro e vedere fin dove mi avrebbe portato. A partire dal primo trasferimento, avvenuto in un’età delicata, come è successo a tante atlete prima e dopo di me.

Ricordo le parole di incoraggiamento dei miei genitori.

Ricordo la sensazione chiara di avere un motivo, una ragione profonda per andare così lontano. Aveva tutto una logica, per me. Già dal giorno in cui ho fatto le valigie.

Non fu semplice, quello no.

Ho pianto spesso, agli inizi, ma l’ho sempre fatto di nascosto, perché non volevo che le altre mi vedessero, non volevo che pensassero meno di me.

Appena arrivata nella nuova città mi sono tagliata i capelli, che avevo sempre portato lunghissimi, quasi come se fosse un segno di ribellione, di rottura con il passato.

Come se mi stessi sfidando a fare una cosa nuova.

Quando sono rientrata a casa per il primo Natale, e la mamma li ha visti ci è rimasta malissimo. “Erano anche i miei capelli”, diceva, lei che li aveva sempre curati per me.

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Anni strani, anni difficili ed esaltanti, quelli tra i 15 e i 18, dove non facevo altro che dormire, mangiare, studiare ed allenarmi, come tutte del resto, in un contesto pensato solo e soltanto per concentrarti sullo sport.

Non andavamo neppure in una scuola normale, ma la facevamo privata, soltanto per noi, per evitare distrazioni e perdite di tempo.

Non mi è mai pesato vivere così, anche se poi, quando sono uscita e sono andata a giocare la pallavolo “vera” mi sono accorta del fatto che c’è dell’altro, fuori dal palazzetto.

Scoprire cosa significhi fare la spesa, o andare ad una festa, o anche solo tornare dopo le 10 di sera può essere esaltante a quell’età, anche se l’eccesso di libertà ha il potere di farti sbandare.

Ho visto molte ragazze a cui è successo.

Io, già nei primi spogliatoi, mi legavo istintivamente alle ragazze più grandi, più mature, quelle che ammiravo anche sportivamente. E questo mi ha protetta.

Non ero ancora davvero “io”.

Non usciva tutto il mio carattere, ma approfittavo della loro presenza per imparare il più possibile, per capire cosa servisse per diventare forte sul serio.

Asia Wolosz

E comunque, anche quando cresci e diventi una giocatrice importante, i dubbi non ti abbandonano lo stesso. Anzi, forse sono proprio il centro dell’esperienza sportiva, della costruzione del tuo futuro professionale.

Un futuro in cui non ti vorresti mai sedere.

Quando sono arrivata a Conegliano ero stressata da quello che gli altri si aspettavano da me. Non ero neppure certa di meritare la chiamata.

Non pensavo di valere il livello del campionato italiano.

Di riuscire ad impormi.

Avevo bisogno di conoscermi meglio, di comprendere come funziono, anche sotto pressione, prima di capire davvero dove volessi andare.

Nonostante sia passato tanto tempo dal mio esordio in Italia, e nonostante vincere aiuti sempre molto, sento che c’è ancora strada da fare.

Sia per me, che per la squadra.

E molto spesso, questi percorsi vivono della potenza di alcuni istanti.

Cose che non puoi pianificare.

Asia Wolosz

Solo dopo il COVID e dopo aver vissuto il lockdown ho iniziato a sentirmi adulta per davvero. Adulta fino in fondo.

Scoprire che la pallavolo non è tutto, per certi versi, mi ha portato a darle un’attenzione maggiore. Una maggiore cura del dettaglio.

Proprio perché non è tutto, proprio perché c’è altro fuori nella mia esistenza, che val la pena di vivere, proprio per quello, allora, quando entro in palestra, nulla può essere sprecato.

Neppure un minuto.

Neppure un pallone.

Non so cosa mi riserverà il futuro.

Da un lato ci sono i sogni di grandezza, come la voglia di fare il torneo della vita, a Parigi 2024, con la nazionale, o come la voglia di tornare a vincere in Europa con Conegliano, la mia seconda casa.

E dall’altro ci sono io, con un occhio al tempo che passa, e con tutte le complessità che la maturità porta con sé. La comprensione del fatto che non potrò giocare per sempre, e che quando arriverà il giorno, dovrò ricominciare da capo. Il desiderio di trasmettere qualcosa alle altre, soprattutto alle giovani, di quello che ho imparato nel corso di tutti questi anni.

Perché il carattere forte è rimasto quello di sempre.

Però, intorno ad esso, sono fioriti nuovi pezzi di me, che lo abbracciano e lo incoronano, riconoscendo l’essenza di quello che sono veramente, ma con la delicatezza di chi ha imparato a volersi bene, e ad apprezzare il tempo che ha.

A volte, da trascorrere da sola, nella casa sull’albero.

Altre volte, invece, proprio al centro del Mondo, con la palla tra le mani e il pubblico che grida.

Asia Wolosz / Contributor

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