Daniele Garozzo

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Per la seconda volta consecutiva mi trovo seduto sugli spalti di un palazzetto con la testa tra le mani.

Sono a San Pietroburgo, ho perso di nuovo al primo turno e mancano meno di tre mesi alle Olimpiadi.

Da lontano guardo, malvolentieri, tirare gli altri atleti: li vedo tutti più alti, più belli e soprattutto più forti di me.

E allo stesso tempo il mio sogno perde colore, diventa sfumato, i dettagli imprecisi.

Quale sogno?

IL SOGNO.

La vittoria alle Olimpiadi.

Sulla medaglia olimpica ho costruito tutto. In sua funzione ho lavorato, mi sono preparato... in altre parole ho vissuto.

Ho un team eccellente: persone e professionisti fantastici in cui ripongo tutta quella fiducia che, purtroppo non ho più in me.

Daniele Garozzo

Faccio un passo indietro.

Ho iniziato a tirare di scherma a sette anni, in una piccola palestra dove mi sentivo tanto Rocky Balboa.

Avevo scelto questo sport perché mio fratello maggiore lo praticava già da un anno e più che giocare con le spade volevo stare con lui.

M'innamorai sul serio della scherma quando, finite le lezioni propedeutiche alla pedana, mi permisero di tirare con gli altri bambini.

La competizione era stimolante e scoprii di possedere il talento necessario a vincere un buonissimo numero di gare.

Ma crescendo incontrai il primo vero grande ostacolo.

La mia era una palestra dove si tirava quasi esclusivamente di spada e la mancanza di avversari era veramente un problema in uno sport che fa del confronto uno dei suoi punti cardine.

Si dice che le avversità aumentino le capacità di reazione.

Ed è proprio vero.


La palestra possedeva un manichino per reclamizzare la divisa sociale e, in un'era sempre più tecnologica, all'improvviso ecco l'idea: requisii il manichino, lo vestii con una divisa da scherma, assieme a mio fratello gli disegnammo un viso: lo umanizzammo insomma.

Era nato Billy.

Il mio compagno di sala contro cui ho tirato migliaia di assalti.

Ma il tempo passava ed io crescevo. Billy non poteva più aiutarmi ed io dovevo scegliere.

Continuare seriamente lo sport che amavo o praticarlo a tempo perso?

Non era cosa da poco.

Avrei dovuto lasciare la famiglia, la casa, gli amici, la scuola per iniziare un'avventura senza certezze.

Scelsi di partire ed appena diciottenne mi trasferii a Frascati.

Sala nuova, cittadina nuova, scuola nuova (era il mio ultimo anno di liceo), maestro nuovo, amici nuovi.

Nuovo tutto.

Ma c'era un sogno da inseguire.

Una medaglia da mettere al collo.

Sognavo ogni dettaglio, ogni gesto, ogni parola.

Sarebbe stato il giorno da rinchiudere in uno scrigno e che sarebbe stato lì per sempre.

Il mio attimo di eternità.


Eccomi di nuovo qui a San Pietroburgo a con la testa tra le mani.

Cosa ho sbagliato?

Ho lavorato senza sosta rispettando ogni schema, ogni tabella di marcia, non ho saltato un allenamento e prendendo tutto quello che la tecnologia applicata allo sport avesse da offrirmi.

Cosa è sfuggito?

Forse me stesso: il fattore umano così inafferrabile che per sua natura è scevro da ogni etichettatura.

Continuo, allora, a lavorarci su con più attenzione di prima se possibile.

Quanto ci vuole e cosa ci vuole per arrivare alla vetta.

Mi viene in aiuto Nietzsche.

Tu non pensarci e continua a salire.

Ho ripreso la scalata che era sempre più faticosa.

Vedevo la vetta ma la strada era diventato un viottolo ripido e scosceso.

Un piede in fallo e sarei scivolato giù.

Nessuna mano da afferrare, niente a cui tenermi.

E con me avrei trascinato in fondo tutta la cordata, tutto il team.

Daniele Garozzo

Quello che volevo non era facile.

Quell'oro tanto sognato mancava in Italia da vent'anni.

Ma era la mia prima Olimpiade e passavo dall'ottimismo più esaltante allo scoraggiamento più nero senza una reale giustificazione a nessuno dei due stati d'animo.

Era come un'ubriacatura perenne.

Ero già a Rio.

C'ero già da tempo, prima di tutti.

C'ero già da anni.

Il 7 di agosto arriva ed è un bel giorno di sole ma ventoso.

Sono teso ed ho già rimesso due volte.

Sono rinsavito, il vino è stato smaltito e non ho nessuna certezza di poter vincere ma sono certo di voler dare tutto quello che ho.

Se gli altri avranno più di me buon per loro.

Non voglio che questa sia la gara dell'avrei potuto ma... voglio che non sia la giornata dei rimpianti e delle recriminazioni.


Inizio passo dopo passo.

Stoccata dopo stoccata.

Assalto dopo assalto.

Quanto ci vuole per arrivare alla vetta?

Non pensarci e se cadi rialzati.

Sono in difficoltà ed ho paura che tutto finisca così, silenziosamente, senza emozioni.

Ma una nuova consapevolezza sta prendendo vita in me.

Nasce dall'uomo che sono, strada facendo, diventato. Dai sacrifici, dagli sbagli, dalle lacrime, dalle risate, dalle sconfitte e dalle vittorie. Da tutto quello che il fioretto mi ha regalato.

Ho talento sì, lo so. Ma da solo non è sufficiente.

Daniele Garozzo

Ho imparato che la tenacia, la volontà e l'impegno possono equivalere e superare un talento monco, senza passione, svogliato.

Devo quindi richiamare tutti questi elementi e non trascurarne nessuno. Ed è così che ce la faccio a  rialzarmi e continuare a salire.

E salgo fino alla vetta.

Supero gli ostacoli più difficili, anche quelli mai sconfitti prima.

Su quel podio c'è un Daniele che è uguale a quello di sempre eppure nuovo.

Cosa ricordo di quella giornata?

L'abbraccio con mio fratello.

C'erano mille storie dentro quell'abbraccio: la strada fatta insieme, gli stessi sacrifici, gli stessi ripensamenti, le persone che siamo diventate lungo la strada percorsa e la stessa gioia: perché la sua era uguale alla mia.

 

La medaglia?

Non so dirvi a parole cosa ho provato nel momento in cui l'ho avuta al collo.

Ma il nuovo Daniele sa che quella medaglia è molto ma non è tutto.

E' il mio valore aggiunto.

La prova evidente a chiunque dell'uomo che sono oggi.

Mi ha dato successo, notorietà, ha coronato un percorso, ha premiato un lavoro di squadra.

Ma io le ho dato me stesso.

È stato uno scambio reciproco e prendo consapevolezza che io sarei stato quello che vedete anche senza di lei.


 

Ripenso a quella giornata, così vicina ma che sembra già così lontana, con un pizzico di nostalgia.

La ripenso perché temo che il tempo possa cancellare i dettagli, le parole, i gesti.

So che forse non riproverò più quelle emozioni così intense o magari, mentre vi sto parlando, realizzo che non sarà così.

Perché in qualsiasi cosa io farò, in qualunque campo ed occasione, da solo o con il sostegno di altri, io metterò la stessa passione ed entusiasmo, lo stesso impegno ed abnegazione.

Perché questa medaglia è solo una vetta ed arrivato in cima e spaziando con lo sguardo ho visto che ce ne sono altrettanto belle e stimolanti per cui vale la pena ricominciare la salita.

Quanto tempo impiegherò?

Non lo so.

Ho capito che non è questo il punto più importante.

L'essenziale, il cuore di tutto è lo spirito con cui affronterò i miei viaggi.

A Lei, alla mia medaglia, riconosco però il merito unico di avermi condotto fin qui, a consolidare questa determinazione che sarà il motore del mio percorso.

E sì. Sei anni fa ho rischiato. Ho lasciato il certo per l'incerto.

Ma mi è andata bene.

Ho fatto la scelta giusta.

Daniele Garozzo / Contributor

Daniele Garozzo