Al termine del Sei Nazioni 2015, Silvia Gaudino, capitano uscente della Nazionale, ci aveva comunicato la sua scelta di appendere le scarpette al chiodo per diventare mamma e da lì Andrea, l’allenatore, aveva accennato l'idea di affidarmi il ruolo di Capitano… ho dovuto pensarci un sacco prima di accettare.
Mi sono confrontata con le veterane e con Silvia stessa riguardo alle mie capacità rispetto a questo ruolo e alla fine mi hanno convinta.
Essere il capitano di una Nazionale non è cosa da tutti i giorni insomma.
È un'emozione folle ed un onore immenso.
Ti ritrovi ad essere un punto di riferimento importante, è un ruolo che richiede molte responsabilità non solo in campo e le ragazze mi hanno sempre aiutato a gestire tutto.
Io cerco di essere sempre me stessa, sia come capitano della squadra all’interno del mio Club che in Nazionale. I match hanno ovviamente un altro sapore e magari i discorsi pre-partita sono diversi ma quando scendo in campo sono sempre io.
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Con lo stesso atteggiamento e la stessa voglia di dare tutto, dare il massimo.
La stessa volontà di credere nel lavoro dell'allenatore.
La stessa fiducia reciproca per ottenere la migliore prestazione possibile.
E qui non c’entra essere il capitano.
È tutta una questione di fiducia.
Non mancano certo le difficoltà nel ricoprire un ruolo come questo.
Fuori dal campo per me è sempre complicato rilasciare interviste, per dirne una. Non mi sento molto a mio agio nel farlo.
Le parole sono sempre un problema.
Prima di una partita cerco di trasmettere le mie sensazioni e le mie aspettative alle ragazze. A volte mi faccio aiutare, lascio spazio ad alcune veterane del gruppo, penso sempre che sentire altre voci faccia bene alla squadra.
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Credo che un buon capitano debba essere d’esempio, un punto di riferimento, sempre presente. Deve riuscire a motivare la squadra e mettere le altre in condizione di tirare fuori il meglio.
Il famoso “cento per cento”.
Nella gestione del gioco dovrebbe fare le scelte più giuste possibili senza perdere il focus e forse questo è quello che un po’ mi rimprovero della mia prestazione durante questo Mondiale.
L’essermi trovata in difficoltà nel prendere delle decisioni, soprattutto sui calci di punizione.
![Rugbymeet Sara Barattin](https://www.theowlpost.it/wp-content/uploads/Barattin_fonte-Rugbymeet_2.jpg)
Essere importante agli occhi delle giovani leve, anche se in realtà sono solo una giocatrice di rugby come loro, è complicato ma stimolante.
Tutte noi, dobbiamo essere d'esempio per le ragazze che ci guardano e che desiderano essere lì al nostro posto.
Pensare a tutte quelle ragazzine che si stanno avvicinando a questo sport e che ci vedono come un obiettivo da raggiungere. Anche per questo è importante cercare di arrivare sempre pronte per dare tutto, così da spronarle a migliorarsi nel futuro.
Di questo Mondiale porto a casa molti ricordi.
Come ad esempio cantare l’inno.
Per intenderci, l'inno per me è ogni volta un momento veramente emozionante.
Sempre.
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Ma durante questo mondiale diverse volte ho pensato a Silvia, al fatto che aveva il piccolo Leonardo, suo figlio, lì a guardarla.
Da pelle d'oca.
Di sicuro, tra le cose che sono orgogliosa di aver riportato casa in valigia dall’Irlanda c’è l’ultima partita contro la Spagna che per noi è stata fondamentale. Eravamo un po' deluse e giù di morale per come era andato il girone e soprattutto per la prima partita giocata e persa contro di loro.
Alla fine però siamo riuscite a ritrovarci.
Prima con il Giappone e poi contro le iberiche.
È sempre dura trovare la confidenza nel gioco da subito, ci succede anche al Sei Nazioni, usciamo quasi sempre alla fine dei tornei.
La Spagna però è il nostro tallone d'Achille ma le sensazioni sul campo durante quest'ultima partita erano buone.
Lo sentivamo.
Avremmo vinto.
Il fischio finale è stato così liberatorio.
Un lungo e bellissimo fischio finale.
Non riuscivamo a smettere di piangere ed urlare.
Un’emozione che ci porteremo dentro a lungo.
Siamo riuscite a finire questo mondiale al meglio ed è proprio da questa vittoria e da tutte queste sensazioni positive che dobbiamo costruire la nostra squadra del futuro.
Sicuramente di questo Mondiale mi resteranno anche tutte le prese in giro delle ragazze e di chi mi supporta da casa, per il mio mancato inglese che mi costringe sempre a chiedere aiuto alle mie compagne per comunicare con gli arbitri e nella vita di trasferta.
Soprattutto non riuscirò a scordare gli sfottò per i miei pantaloncini da gara troppo larghi, in puro stile basket.
Pantaloncini difficili da portare e da saper vestire nel modo giusto.
Insomma, le mie braghette da Capitano.
Sara Barattin / Contributor
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