Larissa Iapichino

Larissa Iapichino

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Se escludiamo il breve periodo in cui ho sognato con tutte le mie forze di diventare la Presidentessa degli Stati Uniti, salvo poi scoprire che se non sei nata lì non lo puoi proprio fare, possiamo dire che il mio primo amore è stato l’arte.

La letteratura.

E, per certi versi, lo è ancora.

Il nonno mi faceva sedere sulle sue ginocchia e mi leggeva degli dei greci, con le loro storie così tremendamente umane, e allo stesso tempo tanto straordinarie.

Per vizi, virtù, gelosie e passioni: simili a chiunque di noi. Eppure capaci di forza, di scaltrezza e di genio ben oltre la nostra comprensione, o i nostri desideri.

Supereroi in qualcosa, fragili in tutto il resto: ci rivedo, oggi, la parabola dell’atleta, che deve sempre mostrare agli altri il meglio di sé, la propria qualità migliore, ma quando viene messo a nudo, è una persona comune, con i dubbi e le paure di tutti.

Il mio libro preferito era l’Odissea, che sembra perfetta per raccontare la vita dell’uomo moderno, e quella dello sportivo in particolare, intento a viaggiare, per sconfiggere i mostri del proprio presente e del proprio passato, per poi finire sempre, o quasi sempre, sulla strada di casa.

 Larissa Iapichino

© Private Archive

L’atletica è profonda, nelle mie radici.

Ed è esattamente per questo che all’inizio non ho voluto saperne. In Giamaica è come il calcio per noi italiani, o come il basket per gli americani, e da bambina la tv era sempre sintonizzata lì: non c’era modo di saltare neppure un singolo meeting.

Avevo quasi il rifiuto, come se non mi volessi immischiare nel business di famiglia, e preferissi invece scoprire cosa la vita avrebbe riservato a me, e a me soltanto.

In principio è stato “leggere e scrivere”, che ho iniziato a fare molto presto.

Poi è arrivata la ginnastica artistica.

Ho preso lezioni per 8 anni, e anche se oggi il mio mestiere è decisamente un altro, mi è rimasta negli occhi la meraviglia di guardare questi corpi sinuosi volteggiare nell’aria come se avessero scoperto il segreto per sconfiggere la gravità.

E per farlo con grazia.

 Larissa Iapichino

© Red Valentino Campaign

Non ero così brava, questo va detto, e quando ho deciso di sperimentare qualcosa di nuovo sono partita preparando una lista bella lunga di sport da provare.

Galeotto, o fortunato, dipende dai punti di vista, fu un viaggio verso Monte Carlo, che abbiamo fatto nel 2015, per assistere dal vivo ad una tappa della Diamond League.

Lì sono stata completamente rapita dalla bellezza del momento.

I record, le grandi firme, il pubblico, la celebrazione del gesto, della fatica perfetta.

La pienezza di un istante assoluto sempre, che sia racchiuso in dieci secondi, in dieci metri oppure in dieci chili.

Così, nonostante l’avversione che avevo maturato per principio, stregata dalle luci della notte di gala, ho deciso di aggiungere l’atletica alla mia lista di avventure per l’autunno, che stavo compilando in estate, mentre aspettavo che venisse settembre.

Il resto lo ha fatto l’atletica stessa.

 Larissa Iapichino

© PH Luca Bonanni

L’atletica è la madre di ogni sport.

Non c’è nulla che possa pareggiare l’aria che si respira su uno dei suoi campi, a prescindere dal livello della competizione che sta prendendo corpo e dal pedigree degli atleti presenti.

Ogni palestra, ogni stadio, ogni piscina ha il proprio fascino, ma la bellezza del momento è determinata dalla qualità di quello che viene proposto agli spettatori.

Dal livello dei protagonisti e della loro performance.

Da quanto è accesa la partita o da quanto è equilibrata.

Ogni campo d’atletica, invece, fa i conti con la storia.

Sotto al tuo naso c’è un mondo intero, che in quanto tale riflette inclinazioni e attitudini diversissime tra loro. Dal fisico minuto e senza un filo di massa grassa dei mezzofondisti, così tirati che sembra quasi di vedere le loro articolazioni muoversi al filo della pelle, fino alla forza mastodontica dei lanciatori, costruiti come cavalieri medievali e grossi come se ne vestissero l’armatura.

Dalla proporzionata perfezione dei decatleti, alla lucida follia che scintilla negli occhi di chi fa salto con l’asta.

Dall’eleganza di angoli e dettagli dei saltatori in alto, alla ritmata ossessione di quelli che lo fanno in lungo.

Sotto la superficie vive un intero pianeta, fatto di corporazioni, come i comuni medievali, ognuna con le proprie idee, ognuna con le proprie leggende.

Ognuna con le proprie colonne d’Ercole: i limiti invalicabili che nessuno è mai riuscito a superare.

Eccola la grande differenza tra l’atletica e tutti gli altri sport: la storia ti guarda sempre, in ogni istante, che tu sia protagonista di una finale olimpica, oppure soltanto uno dei tanti iscritti ad un campionato nazionale.

La grandezza ha la stessa unità di misura.

 Larissa Iapichino

© PH FIDAL/Colombo

Mi è scattato qualcosa dentro, che forse ha attinto da quelle radici che sapevo di avere, ma che ignoravo con forza. La corsa, gli ostacoli, il lungo, le prove multiple: ogni cosa mi dava un brivido, a parte le gare di resistenza, e infatti avevo sempre una scusa pronta per saltare la campestre della domenica.

Alla fine ho scelto il salto in lungo, un po’ perché mi riusciva meglio del resto, e un po’ perché non c’è nulla di bello quanto la sensazione che provi al momento dello stacco, quando ti ritrovi per aria e gli automatismi entrano in azione, facendo di te, allo stesso tempo, un pilota e un passeggero.

Un viaggio veloce, in cui non amo pensare troppo.

Per quello c’è l’allenamento, e in più, io, funziono quasi unicamente per immagini, che sono rapide ed immediate.

Prima di ogni salto, cerco di focalizzare tutte le mie attenzioni soltanto su un paio di cose, quelle in cui mi sento meno brava, o meno forte, a seconda del momento.

Visualizzo l’angolo a cui voglio prendere la rincorsa, ed è come se apparisse un manichino, davanti a me, senza volto né parola, che mi fa vedere gli appoggi per una rincorsa perfetta.

Parto.

Metto il piede dove l’ha messo lui.

Destro e sinistro.

Poi la velocità prende il sopravvento.

Lo raggiungo.

Diventiamo una cosa sola.

Stacco.

E una volta che ho staccato, in un battito di ciglia, mi ritrovo arrotolata nella sabbia, senza ricordare mai quel che è avvenuto nel mezzo.

Nient’altro al Mondo riesce a farmi sentire così: pienamente in controllo e per niente in controllo.

 Larissa Iapichino

© Red Valentino Campaign

Salto dopo salto, la bambina si è fatta adolescente, e poi si è fatta donna.

La tradizione di casa si è fatta gioco, e poi si è fatta lavoro, con tutto quello che comporta in termini di stress e di aspettative.

E ora, vivo una dimensione strana, unica nel suo genere, dove passato e futuro si fondono, rischiando, ogni tanto, di farmi sparire nell’ombra di quello che gli altri pensano di sapere di me.

Ci sono i dubbi, come nella vita di tutti.

E a volte può succedere che la testa senta di scoppiare, sotto al peso dei pensieri.

Fino ad un paio di anni fa non avrei mai pensato di fare dello sport una professione, e dieci anni fa, probabilmente, non l’avrei neppure voluto.

Oggi, però, l’atletica, mamma di ogni disciplina, è parte integrante di chi sono e del futuro che vorrei. Un cammino in cui ho tanti piccoli obiettivi, che provo ad affrontare uno per volta, come fa chiunque altro, alla mia età.

Quelli nello sport, di certo, sono i più banali, e forse non serve neppure scriverli, che sono gli stessi per ogni atleta.

Ma tutti gli altri, invece, sono soltanto miei, e sono lo specchio della mia persona, che può saltare in lungo come gli dei greci, ma che con tutti loro condivide la grandezza dei sogni, e gli scazzi dei momenti no. Un misto di pensieri che come un’onda continua a rimbalzare sugli scogli.

Non sarò mai presidentessa degli Stati Uniti.

Ma vorrei vivere di arte.

Vorrei laurearmi in giurisprudenza.

Vorrei condurre una vita di passioni, in cui sentirmi appagata.

Vorrei essere sempre grata di quello che ho e comunque sempre in cerca di qualcosa di nuovo.

Larissa Iapichino / Contributor

Larissa Iapichino