Linda Cerruti

Linda Cerruti

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Il mio primo ricordo in acqua non è neppure veramente mio, ma è qualcosa che la mamma racconta sempre. Da piccolissima soffrivo di asma e la notte non riuscivo mai a prender sonno, era un tormento per me e per gli altri. Il solo modo di farmi dormire bene era portarmi in piscina, dove la mamma mi caricava sulla schiena con uno zainetto e nuotava dolcemente a rana.

E così mi addormentavo.

Noi vivevamo vicino al mare e frequentare la spiaggia, in estate, è affare di tutti i giorni.

Ci andavo con mamma e papà, ma anche con i nonni, quando ancora non ero altro che un esserino incapace di camminare. Papà dice che non appena venivo adagiata sulla sabbia, non appena appoggiavo ginocchia e mani per terra, partivo a testa bassa, come un toro che carica, come una tartarughina che ha appena rotto l'uovo, diritta verso il mare.

Io dovevo andare là.

Pazientemente mi venivano a recuperare ogni volta, finché un giorno mio padre disse:

"Lasciamola andare questa volta.

Vediamo cosa fa quando mette il musino sotto l'acqua."

Spesso la differenza tra una favola e una storia sta soltanto nelle parole che usi per raccontarla. O nelle metafore che scegli.

L'acqua è stata il mio primo amore, e di questo non ci sono dubbi.

Linda cerutti

A tre anni mi hanno portato in piscina per dare finalmente sfogo a questa passione. Ho fatto tutti i diversi passetti che si prevedono per i bambini che iniziano a nuotare. Sono stata un pesciolino rosso, un delfino e infine anche uno squaletto. Poi, un giorno, aprirono la sezione dedicata al sincro e l'allenatrice mi invitò per una lezione di prova. Ci andai insieme ad un'amica e ricordo che mi sentii subito al posto giusto, al momento giusto.

Credevo di essere una sirenetta.

Elegante e leggera, era come ballare dentro l'acqua.

Potevo fare i salti e le capriole: era molto meglio quello, piuttosto che andare semplicemente avanti e indietro nella vasca. A ripensarci ora mi vien quasi da ridere per essermi sentita subito una diva del sincro, ma a quell'età basta davvero pochissimo a trasformare una sensazione in un pensiero, e quel pensiero in un'idea.

Linda cerutti

Crescendo non è stato tutto semplice e immediato come la scelta di inizio favola. Ogni ragazza ha un diverso adattamento, soprattutto ai ritmi dell'adolescenza e, nonostante la primavera sia la stagione dei pollini, ci sono anche fiori che sbucano in inverno.

 

Ho pensato, a volte, di lasciare.

 

L'ho pensato ma non l'ho mai detto, perché dirlo, lo avrebbe reso vero, ed io non ho mai voluto che diventasse realtà.

 

Intorno ai 14 anni tutte le mie compagne iniziavano ad essere convocate per i collegiali nazionali, mentre io invece no. Mai. Nella mia società facevamo due squadre ogni anno, e io ero sempre, puntualmente, nella seconda.

"Mi alleno tutte queste ore, non esco con le mie amiche,

faccio fatica a stare dietro alla scuola, e non vengo mai chiamata.

Perché lo faccio allora?"

L'allenatrice diceva sempre che le potenzialità le avevo, ma questo non era sufficiente. Non ancora almeno. Ne parlai con la mia mamma che fu molto brava nel sostenermi, e anche nel mettermi un po' di pepe:

"Resisti, vedrai che andrà meglio.

Comunque non pensare che se resti a casa ti lasci uscire quando vuoi tutti i pomeriggi!"

Messa giù così, la scelta fu piuttosto semplice.

L'anno dopo sono sbocciata definitivamente.

Linda cerutti

Il nuoto sincronizzato è uno sport unico nel suo genere, che richiede competenze particolari per dare risultati soddisfacenti.

Il corpo, in acqua, non esprime soltanto quello che sa fare, ma anche quello che pensi. Crei una storia in testa, durante l'esercizio, e se non riesci a sentirla e a seguirne tutte le curve, finisce che agli spettatori mostri qualcosa di piatto, che non emoziona nessuno.

La performance tecnico-atletica e quella artistico-interpretativa vanno di pari passo e nessuna sopravvive se l'altra non è perfettamente allineata. Agli inizi della mia carriera le scindevo.

O allenavo una, o allenavo l'altra.

Ma queste due mezze verità non si incontravano mai in gara, a formarne una intera, e ho dovuto imparare il segreto per creare tra loro il rapporto perfetto.

Ogni volta che ripeti un gesto, in allenamento, devi curarne anche il potere sentimentale. È un equilibrio difficile che forse, a volte, sconfina nella filosofia pura.

Ad un estremo c'è la componente tecnica e quella gode nelle ripetizioni infinite: più volte provi un gesto, più vicina allo sfinimento vai nella ricerca della perfezione, e più quel movimento diventerà tuo, attivandosi da solo, in automatico, al momento del bisogno.

Linda cerutti

All'altro estremo però c'è l'interpretazione della storia, dell'esercizio, e quella vive del processo contrario. La prima volta che la racconti, una favola, cattura l'occhio e l'orecchio. È potente, rapisce il pubblico. Già dalla seconda inizia a suonare come una melodia conosciuta. Alla millesima rischia di non avere più forza e persino chi la racconta smette di crederci.

Il difficile del sincro, che forse si chiamava nuoto sincronizzato anche per questo, è trovare il perfetto punto d'incontro tra due cose che si stanno antipatiche di natura. È come fermare il tempo mentre l'altalena è sospesa a mezz'aria e le due protagoniste, il rigore più assoluto e la poesia più emotiva, fanno penzolare allegramente le gambe nel vuoto.

Si pensa che la gara a squadre sia la più difficile in assoluto, ma non è così. Far muovere all'unisono 8 corpi è ovviamente complicato, ma è proprio per questa complicazione che si scelgono elementi più semplici da proporre, insieme, in acqua. La precisione da raggiungere resta comunque capricciosa come una bambina viziata, ma quelle che vengono richieste sono qualità che tutte le componenti della squadra possiedono.

Nell'individuale non esiste niente. Niente a parte te.

È come se spegnessero le luci tutto intorno e l'importanza dell'interpretazione cresce a dismisura. Sbagliare un elemento, o cambiare qualcosa in corsa, non pregiudica la tua gara se sei in grado di continuare ad emozionare il pubblico. Ma se per un attimo smetti di raccontare la tua storia, tutto si ferma e hai finito di giocare.

Il più difficile tra tutti è l'esercizio di coppia perché è una via di mezzo tra gli altri due. Richiede armonia nei movimenti e una carica emotiva straordinaria, pari a quella che serve per l'individuale. Io mi esibisco con Costanza Ferro, praticamente da quando ho iniziato e oggi siamo più che amiche, siamo più che sorelle.

La sento vicina come se fossimo gemelle siamesi, collegate l'una con l'altra da un invisibile pezzo di carne, di muscoli e di pelle, che ci permette di parlare senza parlarci. A volte è alle mie spalle, non dice nulla, eppure sento, sento con certezza, quel che sta pensando.

Questa cosa non si può spiegare. Ne insegnare.

Linda cerutti

Tra tutte le persone che mi hanno vista diventare grande, in questo sport e fuori, ce n'era una più speciale delle altre.

Mio nonno era il primo tifoso in assoluto ma non era mai riuscito a venire a vedermi nelle gare all'estero, perché era anziano e lo stress del viaggio sarebbe stato troppo. Mi ripeteva sempre, però, con quel tono mezzo serio e mezzo no, che solo i nonni sanno avere, che:

"Quando andrai alle Olimpiadi vengo. Promesso!"

Il nonno è morto nel 2013, tre anni prima di Rio, nel giorno in cui io ho compiuto vent'anni. Non è riuscito a vedermi gareggiare sotto i 5 cerchi e mi dispiace perché so quanto gli sarebbe piaciuto farlo.

Rio è un ricordo, sembra banale dirlo, magnifico della mia vita.

Tutti quelli che erano stati anche a Londra 2012 non facevano che criticare il villaggio, ma a me sembrava tutto, semplicemente incredibile e bellissimo. Ho amato anche la città, che ho girato in lungo e in largo, dopo la mia competizione.


Il giorno dell'ultima gara ricevo un messaggio.

Era mio fratello, mi aveva mandato una foto.

Per festeggiare adeguatamente il suo compleanno aveva deciso di visitare Rocinha, la più grande favela metropolitana del sud America. Un gigantesco agglomerato di case colorate, accatastate una sull'altra proprio di fronte al Cristo Redentore.

In mezzo alla favela aveva trovato una grande piazza, come una terrazza che si affaccia sulla baia, abbracciando tutta la città. Un posto incantevole con l'Oceano davanti, il Cristo a lato e la gente di Rio alle spalle.

Sul muro centrale, perfettamente in linea con il sole che saliva all'orizzonte, trovava spazio un enorme murales. C'era scritto "Oggi si sono aperti cancelli del paradiso" e sopra era riportata una data, la stessa data della morte del nonno.

Il messaggio di mio fratello recitava:

"Aveva ragione lui, hai visto?

Alla fine è venuto fin qui, per vederti gareggiare alle Olimpiadi"

Linda Cerutti / Contributor

Linda Cerutti