Pietro Aradori

Pietro Aradori

11 MIN

Atene, porto del Pireo.

Il ristorante è una sicurezza: facile, l’ha scelto Daniel.

Il menù è a base di pesce e siamo ospiti di Gianni Petrucci.

Tutti al gran completo, giocatori e staff ma il clima non è esattamente sereno come vorremmo che fosse.

Facciamo un brindisi, vino bianco si intende, alzo il mio calice e faccio un cenno al Cuso, penso: strana la vita, tre giorni fa non era neppure con noi!

Storia di un’estate azzurra, storia di basket.

Il cammino per prepararci all’Europeo 2017 non è stata proprio un’autostrada a scorrimento veloce, non del tutto almeno.

Partiamo da qualche giorno prima rispetto a quella cena.

Torneo di preparazione in Francia: noi, il Montenegro, il Belgio e ovviamente i padroni di casa.

Questi tornei sono sempre numerosi durante le estati azzurre; servono a prepararti a quello che incontrerai più il là, certo, ma anche a capire che squadra sei, che rotazioni vuoi, quali sono le armi a tua disposizione.

Quanto sei pronto a lasciare del tuo per gli altri che hanno la maglietta come la tua.

Insomma: un corso accellerato per diventare squadra.

In questo noi siamo sempre stati bravi, il nostro è un gruppo che da anni combatte insieme, estate dopo estate e la disponibilità reciproca, uno per l’altro, è senza ombra di dubbio uno dei nostri punti di forza.

 

Pietro Aradori

Vinciamo la prima con il Montenegro, di uno in rimonta.

Quando vinci una partita con una rimontona finale finisci col dimenticarti di quello che non ha funzionato, ti restano negli occhi soltanto i minuti finali, e inconsciamente sei soddisfatto quasi di tutto.

In realtà allo staff e ai più esperti di noi era chiaro che ci fosse più di qualche problema da risolvere.

Ed il resto del torneo ci avrebbe costretto a gettare la maschera, come se iniziassimo a giocare a poker con le carte scoperte.

Abbiamo preso due scoppole: da Belgio e Francia.

Sonore.

Era difficile capire certe piccole gerarchie interne, non per mancanza di disponibilità, anzi, ma per quel sottile equilibrio che non è facile da creare tra la voglia di rimanere nei dodici e la necessità di mettersi semplicemente a disposizione interpretando le esigenze dello staff.

È stato durante l’amichevole con il Belgio che Messina durante un time-out, poi diventato di dominio pubblico, ha chiesto:

di chi è questa squadra? Vorrei sapere di chi è questa squadra?

Non sempre è facile far tornare tutti i conti da subito.

C’è un’identità da creare e questa è una delle fasi più delicate per una Nazionale, soprattutto per una Nazionale che vuole rinnovarsi un pochino e che deve affrontare anche qualche defezione.

Nessun dramma dopo la Francia, ma chiaramente qualche campanello d’allarme suonava nella nostra testa.

Tappa successiva torneo in Grecia, ed eccoci alla nostra cena.

Lo staff ha richiamato Cusin e questo, inconsciamente, ci ha aiutato a ritrovare un po’ di serenità in più.

Il Cuso vive dentro questo gruppo da tempo, respira azzurro, suda persino azzurro, e ci dà alcune certezze importanti in campo e fuori.

Ritrovarle è stato utile.

Il clima comunque non poteva essere dei migliori, soprattutto perché tra lo spostamento e altro per qualche giorno ci sarebbero stati solo allenamenti ed invece a noi sarebbe piaciuto tornare subito in campo a levarci di dosso il nervoso della Francia.

Quella cena è servita moltissimo, ci ha compattato ancora un po’ di più, ci ha fatto vedere ancora una volta quanto tutte le componenti della spedizione remassero in una sola direzione, cercando di limare gli errori, i piccoli dettagli che, a questo livello, fanno la differenza.

 


Le scorie accumulate se ne sono andate come le onde che potevamo ammirare durante la cena sbattere contro la banchina del Pireo.

Il torneo è stato infatti molto produttivo.

Abbiamo espresso un basket migliore, più consapevole e da questo punto di vista aver “bloccato” i 12 ci ha dato un’ulteriore spinta.

Abbiamo perso con la Serbia, una delle candidate al titolo europeo, mostrando un bel gioco e ci sentivamo pronti a partire, finalmente.

Due giorni liberi e poi siamo partiti da Roma per Tel Aviv.

La prova di quanto fossimo pronti a competere al nostro massimo la abbiamo avuta direttamente alla prima palla a due.

Subito Israele, padroni di casa, davanti ad un muro di 11 mila persone che fortunatamente non si è rivelato un muro del pianto!

Loro hanno sicuramente fatto un torneo al di sotto delle aspettative, ma questo lo si può dire oggi, a competizione terminata, tutti gli addetti ai lavori davano gli israeliani come contender per i posti che contavano nel nostro girone.

Aver silenziato subito quel mare di folla ci ha caricato a pallettoni.

Pietro Aradori

Giorno 2.

Time-out, terzo quarto di Italia – Ucraina.

Noi siamo obbligati a vincere.

Non matematicamente, ma sappiamo di doverlo fare perché le prossime saranno contro delle corazzate.

Nessuno lascerà punti agli ucraini e non possiamo di certo farlo noi.

Ma questo è un Europeo e nessuno ti regala niente, io volevo a tutti i costi fare qualcosa di buono.

Riuscire a mettermi in ritmo e dare una delle mie fiammate!

Al rientro in campo dal time-out guardo Hackett, mi avvicino e gli dico:

Dani, sto facendo atletica praticamente, mettimi in ritmo che ci sono!

Sguardo di intesa.

È qui che si vede una squadra matura, fatta di gente che ha voglia di venirsi incontro.

Azione dopo: bomba mia, assist Daniel.

Teamwork!

2 su 2.

In Israele tutte le partite venivano trasmesse in chiaro e noi non perdevamo occasione di ritrovarci in qualche camera a vederne il più possibile.

Era un modo fanstatico di stare insieme, di studiare gli avversari e di lasciarci andare a qualche valutazione personale sui giocatori che più ci piacevano (o il contrario).

Come avrebbe detto il ragionier Fantozzi:

frittatona di cipolle, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato e rutto libero!

Solo senza frittatona.

E senza Peroni!

Pietro Aradori

Continuiamo il torneo contro la Lituania: il primo quarto è una sparatoria da vecchio film Western, bellissimo davvero anche dal campo, ritmi e percentuali assurde.

Ma ci riprendono e perdiamo.

Perdiamo anche con la Germania in una giornata per noi molto difficile.

Loro sono lunghissimi e terribilmente atletici, una squadra con un futuro brillante davanti, cambiano su tutti i blocchi e ti mettono un’enorme pressione addosso.

Ah sì e poi hanno Schroder.

L’ultima del girone è con la Georgia, sappiamo già di essere qualificati ma noi vogliamo davvero tanto vincere: arrivare terzi ci darebbe un accoppiamento più morbido e volevamo a tutti i costi evitare la Francia, che per noi poteva essere molto problematica essendo un po’ undersize rispetto a loro, specie quando ci entrava in campo la second-unit.

Tosti i georgiani, fatti apposta per farti giocare male.

E in più schieravano Shengelia, che a me piace da morire, e Mike Dixon, che ce ne ha messi 29!

Tutta la nostra voglia di vincere si è vista nella stoppatona finale del capitano su Zaza Pachulia, oggetto di culto per molti.

Una stoppata che ha messo fine ad una partita brutta, sporca e cattiva!

Ed evitato anche che completassero la rimontona.

Si va avanti!

Fase a eliminazione diretta, in Turchia.

Si inizia a ballare sul serio.

Sono queste le gare che più mi eccitano, dentro o fuori: è sempre una sensazione forte ed emozionante.


Io parto sempre da un concetto.

Che la mia squadra va avanti.

Sempre.

Quando chiudo la camera dell’hotel per andare al campo, anche se so che, teoricamente, potrebbe esserci una valigia da fare di lì a poco, io lascio tutto com’è.

Vestiti negli armadi.

Spazzolino sul lavandino.

Pc sul comodino.

Perché la mia mente deve sapere che io voglio restare in quella stanza un giorno ancora.

E poi un giorno ancora.

E così via.

Questo è il mio approccio alle cose.

Eliminiamo la Finlandia.

Partita perfetta.

Difesa come un orologio, da Melli su Markkanen a tutti gli altri.

Attacco equilibrato e ben distribuito.

Li conoscevamo bene avendoci giocato contro in prepazione e siamo riusciti a far valere tutti i nostri punti di forza.

Pietro Aradori

Io e Gigione, che conosciamo bene Instambul abbiamo deciso di portare fuori tutti i ragazzi. Meta: la famosissima steak house Nusr-Et, paradiso dei migliori hamburger di Turchia: un’altra bellissima immagine della nostra estate azzurra.

La carica che condividevamo, la voglia di andare avanti e l’eccitazione del quarto in arrivo: Italia – Serbia.

I serbi schieravano il giocatore più devastante dell’Europeo: Boban Marjanovic.

È gigantesco, prima di tutto.

Schiaccia senza neanche saltare, ma è pure sorprendentemente mobile, ha braccia lunghissime e capisce benissimo il gioco.

Ci sono stati tanti talenti pazzeschi in bella mostra all’Europeo, ma Boban è sicuramente il più ingestibile.

Una presenza in area sia in attacco che in difesa, ti obbliga a rivedere i tuoi piani in entrambe le metacampo e, se riesce a stare in campo con continuità, è immarcabile.

Io lo conosco dai tempi delle Nazionali giovanili.

Un corpaccione del genere non è semplice da gestire ed infatti, a quei tempi non era tra i migliori delle sue annate.

Mi ricordo che il nostro vero incubo nelle giovanili era l’altro peso piuma serbo: Miro Radulijica!

Ho ritrovato Boban in Eurolega, negli scontri tra il mio Galatasaray e la Stella Rossa di Belgrado dove lui è definitivamente esploso prima del salto in NBA, ed era già diventato un altro giocatore.

In questo Europeo ha raggiunto l’apice del suo sviluppo tecnico-tattico e solo i gemelli del destino Dragic e Doncic si sono messi tra lui e l’oro.

Pietro Aradori

Purtroppo non siamo riusciti nell’impresa e ci siamo arenati nella Serbia, perdendo la lotta a rimbalzo in maniera clamorosa.

Raccogliere tutti i pensieri e condividerli seguendo un solo filo logico è difficile.

C’è dentro tanto: orgoglio, lotta, vittoria, sconfitta.

Questo gruppo per quel che mi riguarda ha dimostrato ancora una volta che crede sempre in quello che fa, vendendo cara la pelle a chiunque, a prescindere dalle condizioni.

Certo fa un po’ ridere leggere sui giornali prima di partire che tanti ritengono che questo dovesse essere l’ultimo ballo per questa generazione, io sinceramente non capisco il motivo.

Siamo affiatati e sempre prontissimi a rispondere presente alla chiamata.

Ci conosciamo da una vita e, sportivamente, a trent’anni hai ancora molto da dare.

Noi ci riproveremo con lo spirito di sempre, con i nuovi, con Meo.

Abbracceremo chi tornerà o emergerà dal campionato e saluteremo chi uscirà dal giro, ma lasceremo sempre in palestra tutto quello che abbiamo dentro perché lo spirito azzurro non ha certo una data di scadenza!

Pietro Aradori / Contributor

Pietro Aradori