Sarah Nurse

9 MIN

Hockey.

Canada.

Olympics.

 

La mia vita potrebbe benissimo essere descritta utilizzando soltanto tre parole, tre parole che mi sono ripetuta anche durante tutto il corso dei Giochi di Pechino 2022: hockey, Canada e Olympics.

È quasi difficile da credere, guardando indietro, che tutti i posti in cui sono stata e tutte le persone che ho incontrato mi abbiano portato esattamente qui, dove mi trovo oggi. Ma raccontare storie è il solo modo che abbiamo per dare un ordine e una spiegazione al presente, ed è più logico costruirle voltandosi piuttosto che con lo sguardo rivolto verso il futuro.

Sarah Nurse

Mio papà ha fatto tanti lavori diversi, molti dei quali dal grande impatto sociale. È sempre stato un gran chiacchierone e, quand’ero piccola io, faceva l’arbitro in un’infinità di sport, dall’hockey al lacrosse, che lo portavano a passare tanto tempo tra i ragazzi e in auto.

I miei primi ricordi sono tutti ammassati lì, sul sedile del passeggero insieme a lui, mentre parlavamo di tutto e gli raccontavo le mie giornate.

Assorbivo tutto.

I modi e gli argomenti, l’attitudine e i contenuti.

Quel che era lui diventava, in parte, quel che ero io e si rifletteva nella ragazza che sarei stata.

Amavo la scuola, e amavo stare in mezzo agli altri, con lo sport che era un mezzo per farlo e, allo stesso tempo, un fine. Sono sempre stata molto socievole, facile da coinvolgere in ogni tipo di attività, felice persino dello studio, anche se non lo avrei mai scambiato per un’ora di football o per una di pattinaggio.

Dell’hockey mi sono innamorata soltanto dopo, ma che i pattini fossero la cosa più bella del mondo me ne ero accorta fin da subito.

Correre mi sembrava così ordinario.

Alla portata di tutti.

Ma sfrecciare sul ghiaccio, quello no.

Quello era davvero esaltante. Quello era per pochi.

Sarah Nurse

Scelto l’hockey, crescendo, qualche dubbio ce l’ho avuto, ovviamente.

Growing pains, li definirei.

Parte integrante del processo di crescita: impossibili da evitare, eppure necessari, per comprendere se i tuoi “perché” sono davvero forti abbastanza da reggere al vento e alle bufere.

“È uno sport da uomini.”

“Non ci sono leghe professionistiche.”

“Non c’è futuro.”

Qualunque ragazza della mia generazione se lo è sentito dire, almeno una volta. Ogni weekend, passavo ore in viaggio in giro per il Canada pur di riuscire a giocare, e quando qualcosa non andava come da copione, in campo o fuori, mi intristivo al punto che soltanto il ricordo dei miei inizi riusciva a dissipare le nubi.

Ripetere a me stessa quanto amassi il gioco.

Oppure ripensare alle sensazioni che ho provato la prima volta che ho messo i pattini.

Sarah Nurse

Questo mio flusso di coscienza ha sempre avuto uno sfogo fisico, materiale, manifestandosi sotto forma di parole scritte. Sotto forma di tante parole scritte.

Diari.

Diari su diari.

Centinaia di pagine che ancora oggi, come quando ero bambina e come quando ero adolescente, servono a tenere chiuso il recinto dei miei pensieri.

Servono a dare una forma alla mia vita.

Un obiettivo alla mia fatica.

Un significato ai miei istinti.

Solo nelle due settimane di Pechino 2022, ho riempito d’inchiostro quasi 50 fogli.

Ho sempre scritto tanto.

Da bambina inventavo storie, e invece oggi parlo da sola, ma, nel farlo, cerco quasi di fissare dei punti, di bloccarli nel tempo, che a “pensarli e basta” rischi poi di lasciarteli sfuggire. Un po’ per pudore e un po’ per paura.

Ci sono i fatti, come se stessi riportando a matita tutti gli appunti che serviranno poi per scrivere un documentario sulla mia vita.

E ci sono le volontà, i desideri, le visualizzazioni: un disegno astratto pieno di connotazioni positive, che invece di raccontare la realtà, la piegano alla propria visione del presente.

Ho sempre sostenuto fedelmente la teoria del fake it ‘till you make it, e ripetere quel che mi aspetto da me, quel che desidero da me e quel che spero da me, è sempre stato un valido strumento per ottenerlo davvero.

Sarah Nurse

Così, i quaderni li ho infilati nel mio borsone, stagione dopo stagione, scarrozzandoli con me fino in capo al Mondo, dove la sorte ha voluto che si tenessero le due edizioni dei Giochi Olimpici a cui ho avuto l'onore di partecipare.

Entrambe lontanissime da casa.

Ma diverse l’una dall’altra.

Pyeongchang è stato un sogno inseguito per vent’anni e diventato infine reale. La vetta dello sport, quantomeno del mio sport, che trasforma in privilegio tutto quel che fino al giorno prima è stato sacrificio e fatica.

L’esperienza agrodolce di un viaggio bellissimo, condiviso con la mia famiglia, e persino divertente nella gestione del quotidiano, ma che si è spento all'improvviso in un argento devastante, nella sconfitta in finale contro gli States che ha obbligato me e tutte le mie compagne a fare un profondo esame di coscienza personale.

Soul searching.

Sarah Nurse

Hockey + Canada + Olympics, un’equazione che ha un solo risultato possibile: l’oro. La strada per la redenzione è durata quattro anni interi, e ha conosciuto in egual misura momenti in cui tutto sembrava essersi rotto e momenti in cui niente pareva in grado di fermarci.

Abbiamo vinto il Mondiale, a Calgary, nell’ultimo giorno dell’agosto scorso, battendo le avversarie di sempre, le stesse della Corea, e le stesse che eravamo sicure di ritrovare a Pechino.

Due mesi più tardi mi sono infortunata al ginocchio, e il percorso di avvicinamento ai Giochi si è trasformato in un campo minato. È stato un percorso lungo, nonostante il pochissimo tempo rimasto prima dell’accensione del braciere, durante il quale ho consumato numerose penne, ripetendomi su carta di fare del mio meglio per essere ottimista.

Per essere presente.

Le compagne di squadra e i coach mi hanno aiutato nel processo di guarigione almeno quanto, se no più, dei medici che mi hanno curata, restandomi vicini in un periodo che, tra bolle e quarantene, poneva già le sue sfide in termini di metal health.

Aggiustarmi un ginocchio mi ha insegnato la pazienza, con tutte le sue virtù.

E dopo tanta fatica, quando sono arrivata in Cina ero pronta ad abbracciare l’esperienza, in ogni suo istante e in ogni sua sfumatura.

Sono stati due mesi di cui ho goduto tutto, dall’inizio alla fine, pur fronteggiando gli spalti vuoti, le partite con la mascherina, la famiglia lontana, o il peso di una medaglia che non avevamo il diritto di perdere ancora.

Sono stati i Giochi dell’essenza, dove tutto è stato ridotto alla sua forma più pura. Lo sport, il gioco, io e i miei diari.

L’hockey, il Canada, the Olympics.

Sarah Nurse / Contributor

Sarah Nurse