Giorgio Minisini

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Tana libera tutti.

L’equilibrio tra il passato, la mia storia e le gare si è frantumato nei mesi successivi al mondiale del 2017, quello in cui finalmente sono diventato campione. Un campione vero, un campione importante.

Dopo anni passati ad inseguire una normalità soltanto mia, dopo anni passati con il peso di una giustificazione sempre appeso alla punta della lingua, è stato devastante scoprire che l’uomo che mi guardava allo specchio era identico a quello scheggiato e pieno di crepe che avevo conosciuto fin lì.

Non ero Tom Daley, non ero Michael Phelps: ero sempre e soltanto io, farcito dei miei dubbi, lontano dalla perfezione, ben diverso da quello che avrei voluto essere e che pensavo il trionfo mi avrebbe garantito di diventare.

Una vita passata giocando a nascondino, sospeso a metà tra il desiderio di nascondermi meglio di chiunque altro e quello di irrompere al centro della scena nel modo più teatrale che ci sia, sconquassando il palco e salvando coloro che prima di me erano stati esposti, scoperti. Tana libera tutti.

Insoddisfatto del riflesso, ho iniziato ad avere problemi con il peso, problemi con le relazioni. Problemi con gli altri e problemi con me, che spesso preferivo comportarmi come una testa di cazzo, piuttosto che affrontare la semplice verità di non essere all’altezza delle mie stesse aspettative.

Giorgio Minisini

Tana libera tutti.

Le cose da dire sono talmente tante, che se non sto attento rischio di annacquarle troppo, sciogliendole tutte in una piscina, al cui custode è scappata la mano di cloro. Gli occhi bruciano, la pelle si squama, e tra i capelli ti resta un odore chimico.

Nascondino, ruba-bandiera, acchiapparella: i miei primi giochi sono stati i primi giochi di chiunque, con la differenza che per me la cosa bella non era affatto partecipare, ma avere in testa uno scopo preciso.

Competere.

Vincere.

Gareggiare.

Persino perdere: qualunque cosa che non fosse astratta, che non fosse fumosa e distante andava bene comunque, perché per me tutto doveva avere un inizio e una fine, un ordine e una direzione. Un lato giusto e un lato sbagliato.

Anche per questo ho sofferto molto l’inizio della scuola, con tutti quegli obiettivi lontani, persi nel tempo di uno speranzoso futuro, che chissà se e quando ci farà la cortesia di arrivare per davvero. Trimestri e semestri, voti e pagelle, carriere e attitudini personali: guarda avanti” dice il mondo, nel tentativo di distrarre un bambino che non ha alcuna fretta di diventare grande, e il cui sentire inizia e finisce esattamente all’altezza del suo naso.

Giorgio Minisini
Giorgio Minisini

Nello sport ho vissuto un simile dualismo, incapace com’ero di guardare oltre la ragion d’essere del giorno presente. Il nuoto sincronizzato era il lascito culturale dei miei genitori, e una passione che ho sempre perseguito, amalgamandola come meglio potevo alla pallanuoto, la magnifica idea di mio fratello, e al taekwondo, di cui, molto più prosaicamente, aprirono una scuola proprio sotto casa.

Uno al giorno, i miei “perché” si ammassavano da soli, passando con naturalezza da una cosa all’altra e impedendo così al mio spirito di sentirsi intrappolato troppo presto in qualcosa di distante, di filosofico e di ardito. Cosa farai crescendo?

Una disciplina al giorno, una lezione al giorno, una versione di me al giorno: senza l’obbligo di dover scegliere una strada che, a beneficio del parere altrui, avrebbe definito la persona che sono più del necessario.

Oppure prima, del necessario.

Per quasi un decennio, fino all’adolescenza più inoltrata e appiccicosa, sono rimasto nel limbo di una decisione non richiesta, eppure quasi necessaria, cosciente del fatto che qualunque scelta avrebbe finito con l’indirizzarmi più di quanto fossi pronto a sostenere. Lo sfogo fisico nell’arte marziale, il senso di determinazione collettiva nella pallanuoto, la maniacalità elegante nel nuoto sincronizzato.

Uno, nessuno e centomila.

Ero tutto ed ero niente, cullato dalla finta certezza di non essere costretto a guardare lontano, perché ogni mio presente aveva le proprie, granitiche, regole. Che si scrivono all’alba e si cancellano a sera.

Giorgio Minisini

Tana libera tutti.

È più difficile da raccontare, per me, di quanto lo sia da comprendere per gli altri, di come, tra le tre, ci fosse una disciplina che attirava subito l’attenzione del prossimo. Il sincro non è mai stato uno strumento per affermare chi sono, né una metafora di qualsivoglia struggimento interiore. Non una richiesta d’aiuto. Non un modo per mostrare al mondo i lati più nascosti del mio carattere, quelli che non avrei saputo condividere a parole.

Il nuoto sincronizzato è sempre stato soltanto uno sport, un pezzo della mia vita. Un istinto primordiale, che canalizza il mio desiderio di competere e di giocare, come avviene per qualsiasi altro bambino e qualsiasi altro uomo che conosca.

Non ho mai pensato al peso di essere unico, non ho mai neppure pensato alle conseguenze che avrei dovuto affrontare per essere stato il primo a farlo. E non mi sarei mai accorto che fosse “diverso” se qualcuno non avesse provato a farmelo notare.

“Sì, lo fanno anche i maschi.”

Più delle offese e degli epiteti sciocchi, che a qualsiasi età si commentano da sé, hanno potuto invece i dubbi, l’incredula leggerezza di chi, in cuor proprio, pensava di dar voce ad una legittima curiosità. Non una “cosa da donne” che sono autorizzato a fare, ma una cosa mia, fatta esattamente come mi andava di farla.

Per un’intera porzione della mia vita, per l’intera adolescenza, ho vissuto con la giustificazione in tasca, con il cartoncino “esci gratis di prigione” sempre a portata di mano, perché non è esistita amicizia, storia d’amore o anche semplice conoscenza che non sia iniziata così.

Ambizioso di arrivare in alto prima ancora di diventare bravo, guardavo al nuoto sincronizzato come qualsiasi anima ingenua guarda allo sport in generale: una miniatura della vita, piena di gioia e di dolore, di depressione e di euforia.

Di rispetto e di autocommiserazione.

È un microcosmo che spiega l’esistenza, anche solo per un attimo, e che dalla quotidianità stessa attinge con la medesima facilità a virtù ed ignoranze.

Giorgio Minisini

Tana libera tutti.

Allora, accettando quasi di farmi definire dagli altri, ma per negazione, stufo di giustificare me stesso e preoccupato nel ritrovarmi di fronte a nuove domande interiori, a 15 anni ho lasciato tutto il resto, e mi sono dedicato solamente al sincro, definendo più di quanto avrei immaginato gli anni a venire.

“E se fossi davvero io quello sbagliato?”

La bellezza è nell’occhio di chi guarda, ma altrettanto lo sono anche il pregiudizio e le paure, e sono servite le prime garette all’estero, e gli applausi di chi non mi guardava solo come una curiosità statistica o culturale, per capire che forse la cosa migliore da fare era liberarsi definitivamente dall’adolescenza e dei suoi tabù.

Il rancore non abita qui, né lo fanno l’incertezza e la solitudine, perché oggi sulle orme dei miei passi sta nascendo un movimento intero, con una propria identità ed un preciso posto nel mondo.

Separare chi sono stato da chi sono è difficile e forse sempre lo sarà, perché le crepe del passato, anche se ricucite da venature d’oro, danno comunque alla mia figura una leggera, e polverosa, aurea di santità. Il primo. E con una storia da raccontare.

Ma io continuo ad essere un uomo ed un atleta, che come ogni uomo e atleta vive di momenti e di sfide alla propria natura più profonda.

Un po’ disfattista e un po’ entusiasta.

Un po’ meteoropatico e un po’ curioso.

Un po’ spaventato dal fallimento e un (bel) po’ spaventato dal successo.

Giorgio Minisini
Giorgio Minisini

Faccio ancora i conti col bambino che mal sopportava gli obiettivi a lungo termine, e in questo senso, i lunghi mesi di lock-down, senza gare né prospettive, mi hanno costretto ad affrontare l’horror vacui dello spirito d’infanzia.

Continuo, con pazienza, a sopportare chiunque mi chieda, anche se lo fa indirettamente o con delicatezza, di giustificare le mie scelte passate.

E, soprattutto, lotto ogni giorno per trovare la motivazione giusta per entrare in acqua ad allenarmi duramente. Una motivazione che non devo mai cadere in tentazione di trasformare in un refendum su quanto io mi riesca a voler bene per davvero.

Perché non sempre me ne voglio quanto vorrei, né quanto ne voglio agli altri, per i quali non ho mai problemi ad aprire i cassetti e raccontare la mia vita. Senza filtri, senza timori e senza intermediari. Sapendo che serve a qualcuno.

Tana libera tutti.

Giorgio Minisini / Contributor

Giorgio Minisini