Neeraj Chopra

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Il villaggio è piccolo, e la gente è tanta.

Così tanta che non è neppure possibile contarla.

Mille volte mille.

Poi di nuovo altre mille volte.

E ancora non sono abbastanza.

Milioni di cuori, di occhi e di mani che diventano una cosa sola, un’unica entità.

Quasi una persona, che respira e che pensa insieme.

Quando parlano, un miliardo di voci diventano un canto, e dal vento che lo spinge lontano, emergono suoni geologici, non animali.

Come se non si potessero spegnere mai, come se provenissero direttamente dal centro della Terra, e non da qualcosa di mortale.

Neeraj Chopra

Al villaggio, nessuno conosceva lo sport.

Non c’erano i luoghi per farlo.

Non c’era la volontà di farlo.

Non c’era un motivo per farlo.

Alba e tramonto: il lavoro e la vita diventano sinonimi nel ripetersi del tempo, sempre uguale a se stesso, sempre avaro e sempre prezioso.

Sempre padre, figlio e padrone.

E il ragazzo aiutava in casa, per quanto poteva.

Aiutava nei campi e con gli animali, come da tradizione della sua famiglia, del suo lignaggio. Tagliava l’erba, mungeva i bufali, si alzava presto e camminava molto.

Felice di essere parte del coro.

Felice di essere vivo.

Non aveva grandi sogni di gloria, il ragazzo.

Né tanto meno si sentiva insoddisfatto di quanto aveva, o di quanto riempisse le sue giornate. Ciò nonostante, un giorno, quando ormai era già piuttosto cresciuto, si ritrovò su un campo di atletica e in quel momento, per lui, tutto cambiò.

Il cricket era lo sport di tutti.

Ma non il suo.

E non appena il suo occhio si posò sul volo di un giavellotto, seppe cosa avrebbe dovuto fare.

Era un volo leggero, eppure così potente.

Arcuato, ma forte.

Elastico, ma deciso. Come se quella lancia dovesse ogni volta conficcarsi nel centro di una montagna e aprirla in due, per far uscire il tesoro che è sepolto dentro di lei.

Così, come il giavellotto è attratto dalla gravità del Mondo, ma ci si piega soltanto secondo le proprie regole, così il ragazzo era attratto dal giavellotto stesso, dalla sua parabola solare, che si allunga dall’alba al tramonto nello spazio di un grido.

O di una preghiera.

Neeraj Chopra

Il ragazzo iniziò ad allenarsi, e visto che dove era nato non c’era il posto giusto per farlo, ogni giorno saliva sull’autobus.

Ogni giorno, faceva prima chilometri seduto e poi chilometri camminando, pur di riunirsi con il suo amato giavellotto.

Non pensava al successo.

Non pensava alle Olimpiadi.

Si preoccupava soltanto di spiegare agli altri le ragioni del suo amore.

E in quel caso, le parole, non sembravano mai abbastanza.

Le persone pensavano che avrebbe fatto meglio a studiare, che quello era un percorso più sicuro. Più adatto alle sue qualità.

Anche quando provava a convincere i suoi amici, nessuno sembrava vedere nel giavellotto quel che vedeva lui.

Nessuno sembrava capirne la bellezza.

Nessuno ne sentiva il sussurro nell’orecchio, che come la coscienza, ti soffia dentro un pensiero ogni volta che lo lanci lontano.

Ha avuto molti dubbi, il ragazzo.

Ma non ha mai smesso di provare amore per quel che faceva, anche se ci è voluto un anno e mezzo per cominciare a vedere risultati, perché il giavellotto volasse come avrebbe dovuto volare.

Gli alti e i bassi ci sono sempre.

Ma non sono loro la storia.

La volontà, è la storia.

Il ragazzo si è fatto grande e forte.

Ha cominciato a lanciare lontano.

Ha iniziato a rappresentare il suo Paese nel Mondo, solista felice in una canzone da un miliardo di voci.

Ha superato tutti i confini segnati sull’erba dalla mano dell’uomo.

70 metri.

80 metri.

86 metri.

87 metri e 58 centimetri, l’oro di Tokyo.

89 metri e 94 centimetri, il più lontano che abbia mai lanciato.

Neeraj Chopra

Al ritorno dalle Olimpiadi di Tokyo, con al collo una medaglia che non aveva mai vinto nessuno prima di lui, ha sentito tutto il peso della storia.

Il peso dei numeri.

Il peso del coro.

All'aeroporto c’erano migliaia di persone ad aspettarlo.

Braccia che volevano toccarlo, salutarlo, abbracciarlo.

Eppure, per quanto si perdessero a vista d’occhio, erano soltanto una frazione piccolissima di quelle che sentiva addosso lui.

Un Paese intero.
Si sentiva addosso un Paese intero, lo sentiva vicino, e sapeva anche che grazie alla sua storia, quello stesso Paese avrebbe aperto il proprio spirito a discipline nuove.

Sapeva che in milioni avrebbero cominciato un percorso come il suo.

E questo era un bene.

Ora che è un gigante, il ragazzo è diventato uomo.

Ma nelle viscere di quell’uomo, il ragazzo si nasconde ancora.

Molto lontano nel tempo, ma molto vicino nel cuore: quando la tristezza lo prende, o quando il peso di rappresentare tanti lo assale, lui torna nella fattoria, tra i bufali e le piantagioni, e ripensa a se stesso da piccolo.

Ripensa alle difficoltà, ai chilometri percorsi.

Alla prima volta che ha sentito il suono di un giavellotto volare.

Si ripete che non esiste ostacolo troppo grande per lui, che ha saputo ottenere tutto questo partendo da qui. Ma lo ripete tenendo saldi i piedi nel fango, dove tutto è iniziato, per non dimenticare mai il vero significato di quel che ha vissuto.

Voce tra le voci, di una canzone da un miliardo di voci.

Neeraj Chopra / Contributor

Neeraj Chopra