Caterina Banti

8 MIN

Il mare è un essere vivente, con un proprio respiro e un proprio pensiero.

È mutevole, sempre diverso.

E devi dialogarci, per riuscire a interpretare il suo vento e le sue onde.

Non puoi pretendere di conoscerlo e basta, senza ascoltare cos’ha da dire.

Fin dalle primissime volte che mi sono ritrovata sola sull’acqua, nel bel mezzo del lago di Bracciano, ho sentito addosso questo miscuglio di improvvisazione e di responsabilità.

Di calcolo e di istinto.

Di idea e di azione.

La sensazione di essere sopra qualcosa di più grande di me e, allo stesso tempo, di avere la capacità di fondermi con essa, di diventarne parte.

Caterina Banti

Da che mi ricordo ho sempre fatto sport da piccola, passando dalle corse nel fango alle ginocchie sbucciate, dalla scherma alla danza classica, senza soluzione di continuità.

Un vero e proprio vulcano di energia.

Ma nel momento esatto in cui mio fratello mi ha fatto provare la vela, non sono più voluta tornare indietro. Completamente rapita dal basculare della barca, dal rumore delle onde, dal sussurro del vento.

Da quello che mi faceva sentire in potenza di essere.

Caterina Banti

La vela non è una crociera.

È uno sport enorme, pieno di categorie e di sottocategorie, di tradizioni e discipline, ognuna con la propria storia, con le proprie peculiarità e con le proprie affinità elettive.

C’è il mondo del windsurf, ci sono i barconi, le traversate oceaniche.

Ci sono tutte le categorie olimpiche, che a loro volta si aprono a ventaglio in una rosa di possibilità diverse. Servono le persone giuste per orientarsi all’interno della mappa.

Serve una bussola per trovare il proprio nord.

Io ho avuto la fortuna e il merito di trovare subito chi ha saputo indirizzarmi, guidarmi nella scelta e nella scoperta della “mia” vela.

Un processo iniziato presto, che mi ha accompagnato fino alla definizione di un ruolo tutto mio, che ho costruito per me, quello della prodiera.

Un ruolo molto fisico, per una barca difficile, acrobatica.

Un ruolo che mi permette di esprimere tutta la mia forza e la mia determinazione.

Caterina Banti

Tattica e intuizione: la vela è una partita a scacchi, da giocare contro il tempo e contro la natura, che potrà anche sembrarti un’avversaria, ma che non appena ne comprendi la ligua, diventa una parte attiva del tuo equipaggio. Come il pensiero.

Sono sempre stata una persona responsabile, seria.

Profondamente attratta dallo studio.

E anche nello sport ho portato questo approccio metodico, calcolato, puntuale.

All’università consumavo libri su libri, per bruciare le tappe e recuperare il fatto che avessi cominciato tardi a regare.

Tutte le ore spese in biblioteca sono davvero servite a qualcosa.

In ogni uscita in barca ci sono centinaia di cose da considerare, decine di approcci e di prospettive, tutte diverse, eppure tutte ugualmente reali.

Tutte contemporanee. E tangibili.

Caterina Banti

La strategia, la tattica, la sensibilità del mezzo, la meteorologia, la tecnica di navigazione, il posizionamento del corpo: tutto esiste nello stesso istante.

Tutto avrebbe la forza di monopolizzare i tuoi sensi.

Ma non devi permettergli di farlo, perché è proprio dalla sintesi del tutto, da fare in tempo reale, che si determina il successo di una regata, di una performance.

È un lavoro talmente complesso e totalizzante, che oggi è la sola origine della mia soddisfazione sportiva.

Il risultato, quasi, non conta più.

Nemmeno lo guardo.

La sola cosa che conta è il feeling, la sensazione di come ho condotto la barca.

Nient’altro.

È un flusso di energia, che prende forza dagli elementi, dallo storico del passato e dalla volontà, e che si esprime nelle mani e nel bacino. Come cavalcare. Solo che non stai montando un cavallo, ma il mondo intero.

E non stai correndo sulla terra ferma, ma su un prato d’acqua capricciosa.

Caterina Banti

È così che sono diventata una professionista, applicando quello che sono ad un qualcosa che ha saputo farmi innamorare, e che non ha mai smesso di pormi di fronte a delle domande e a delle sfide.

Sempre fedele alla donna che sono.

Alla ragazza che ero.

Alla bimba che fui.

Anche quando la grandezza del momento mi ha fatto imbarcare acqua.

Le Olimpiadi di Tokyo sono state il momento più stressante della mia vita.

Non tanto per l’aspetto sportivo: conoscevo la qualità del lavoro fatto e non ho mai dubitato della possibilità di fare un grande risultato. Ma è stato difficile, a volte, isolarmi dal chiacchiericcio esterno.

Dalle aspettative degli altri.

Tenendo vicino soltanto chi mi restituiva energie positive.

Sono stata bene, in Giappone.

Non vedevo l’ora che arrivasse il nostro momento, e ho fatto tutto il possibile per gustarmelo fino in fondo.

È a quello che è venuto dopo che non ero del tutto preparata.

Caterina Banti

Dopo il titolo olimpico, sono arrivati milioni di messaggi, perché all’improvviso tutti si sono scoperti amici miei. È arrivato l’interesse mediatico.

Le interviste.

La necessità di avere i social, di cui non mi ero mai interessata prima.

Mi sono sentita un po’ persa, annebbiata.

Come in un mare che mi aspettavo piatto e che invece non lo era.

Poi, qualche mese più tardi, ho ritrovato i miei spazi e il mio equilibrio, tornando alle basi, tornando alla vela, alla barca.

Tornando a studiare.

Sono maturata ancora, trovando una forza e un’energia che non sapevo di avere.

Mi sono accorta di essere più leggera che mai, forse persino più leggera di quanto non fossi prima di Tokyo. E soltanto allora ho capito quanto avevo davvero investito nella rincorsa all’oro Olimpico.

Emotivamente e fisicamente.

Mi sono tolta un peso dal cuore, come se avessi preso il sasso che lo schiacciava e lo avessi lanciato al centro del lago, standomene seduta sulla barca a guardare le increspature dell’acqua.

Curiosa di osservarne l’effetto, di capirne i motivi.

Come ho sempre fatto.

E come sempre farò.

Io e il mare. Il mare e me.

Caterina Banti / Contributor

%post_title%