Anna Bashta

9 MIN

C

erco sempre di guardare avanti, di non pensare al mio passato.

Ma ogni volta che i miei genitori raccontano qualcosa, quello riaffiora.

Ritorna.

E mi ricorda qualcosa di me, di come tutto sia iniziato e di quanta fortuna ho avuto ad arrivare fin qui.

Quand’ero piccola, un giorno, mi proposero di partecipare ad un torneo di scherma. Un torneo prestigioso, dedicato ai migliori talenti della mia età e la cui iscrizione costava 500 dollari americani.

Erano l’equivalente di un mese di stipendio di mamma e papà messi assieme.

Fecero delle enormi rinunce per riuscire a metterli insieme.

Alla fine vinsi anche un premio, che consisteva nell’equivalente di 5 dollari, e allora, del tutto ignara del valore del denaro, tornai a casa trionfante, annunciando a tutti che da lì in avanti, sarebbe stata la mia sciabola a provvedere alla famiglia.

Non è stato così, ovviamente.

Anna Bashta
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Queste storie io le conosco, ma non le ricordo per davvero.

Le conosco perché i miei genitori le tramandano, le custodiscono gelosamente.

È il loro modo di collegare i puntini del nostro viaggio, di dare una profondità ulteriore al presente che stiamo vivendo.

Un presente bello, pieno. Felice.

Le cose che invece ricordo, quelle che sento mie per davvero, sono molto più semplici, molto più immediate.

Ricordo le crepes della nonna.

Me le faceva tutte le mattine, e avevano un profumo buonissimo.

Ricordo che ero un piccolo boss già all’asilo nido, e che, anche crescendo, i maestri e i professori si arrabbiavano per il mio modo furbo di ottenere sempre quello che volevo.

Anna Bashta

Sono nata e cresciuta a Togliatti, una città russa sul Volga, il cui nome è un chiaro omaggio allo statista italiano.

Fino ai miei 14 anni siamo rimasti lì, e ricordo tutti i compagni di scuola, e la facilità che avevo nell’essere sempre la prima della classe. Senza sforzo: ogni cosa mi veniva con naturalezza, finivo sempre i compiti in 5 minuti, e riuscivo in tutto praticamente senza studiare.

Era il mio super potere, che mi lasciava tanto tempo libero per giocare e per la scherma.

Avevo iniziato con la ginnastica, ma la palestra era distante, e portarmi era troppo costoso per la nostra famiglia. Allora mia madre disse che potevo scegliere qualsiasi altra attività, purché rispettasse due condizioni: che fosse vicino a casa, e che fosse gratis.

Così, un giorno, mi chiesero se volevo provare la scherma.

Scherma in russo si dice fextovanie, che è una parola molto difficile per un bambino, e che io non avevo mai sentito prima. Quindi, nella mia testa, mi ero fatta un’immagine completamente diversa di quello che avrei trovato in palestra.

Pensavo che avremmo ascoltato della musica, oppure ballato.

Cose del genere.

Ma quando entrai dalla porta della Sport Hall venni travolta dal rumore delle sciabole e dei fioretti, e mi innamorai subito di quella sensazione di adrenalina e dinamismo.

Mio fratello, che aveva sei anni più di me, era già un grande appassionato, e diventò una specie di mentore, a metà strada tra un allenatore e un compagno di gioco.

Anna Bashta

“Ogni medaglia una torta.”

Ogni volta che vincevo un torneo, a prescindere dal livello, i miei genitori compravano un dolce tutto per me.

“Good business” pensai.

Mi sembrava uno scambio molto equo, e assolutamente vantaggioso per me, che trovai in quell’accordo una motivazione in più per allenarmi con convinzione.

A suon di torte diventai la più brava del gruppo.

Poi la più brava del mio club.

E quando infine capii che più diventavo brava e più viaggiavo, e che più viaggiavo e meno dovevo andare a scuola, diventai la più brava della città, della regione, e di tutta la sconfinata Russia.

Anna Bashta

Forse è per questo che ancora oggi, a volte, faccio fatica a vedermi come una vera professionista, anche se lo sono a tutti gli effetti.

Una parte di me continuerà a sentirsi bambina per sempre, felice di poter vedere il Mondo gratis, anzi addirittura pagata, per fare qualcosa che forse, visto quanto le piace, farebbe comunque.

È uno sport di emozione, in cui devo sempre trovare qualcosa di speciale da ottenere, per cui combattere. La mia torta quotidiana.

Anche il più semplice degli allenamenti, se è noioso allora io divento triste, perdo tutto il fuoco e mi spengo, come un fiammifero accesso mentre tira un vento troppo forte.

Ed è strano dirlo adesso, che dopo il club, la città e la nazione, sono diventata anche la più brava al Mondo, almeno in teoria. La numero uno del ranking mondiale.

Perché questo titolo mi tocca, e invece io non vorrei pensarci.

A volte non so davvero che farmene di questa informazione.

Non so come dovrei sentirmi.

Sento la pressione intorno a me, sento la gente salutarmi dicendo “hello number one!” oppure “hello champ!”, e io vorrei soltanto che se ne dimenticassero, lasciandomi libera di essere semplicemente chi sono.

Anna Bashta

Il primo posto del ranking mondiale è soltanto una piccola goccia nell’oceano, un risultato dal quale puoi soltanto regredire. Sei lì, in cima, bersaglio per tutte le altre, e non c’è altro che tu possa fare, se non provare a vincere sempre.

Come faresti anche se fossi ben lontana dalla vetta.

La differenza sta soltanto nel peso della sconfitta.

Poi certo, io continuo ad essere una sognatrice.

Una donna semplice con desideri complessi.

Prima volevo andare ai Giochi Olimpici di Tokyo.

Adesso voglio vincere quelli di Parigi, e poi voglio vincere anche quelli di Los Angeles. Quando avrò due ori olimpici potrò considerarmi realizzata.

Ma adesso, il numero uno vicino al mio nome, oltre ad essere un orgoglio, è anche un peso, l’obbligo morale a lavorare il doppio oppure il triplo per restare dove sono.

E lavorare troppo non mi è mai piaciuto granché, più o meno come studiare.

Anna Bashta

Posso passare anche un giorno intero in palestra, a sudare e faticare duramente, purché non senta che sto lavorando.

Accade molto spesso: il tempo passa veloce, tra un viaggio e un torneo, un’intervista e un allenamento, e io faccio ancora fatica a credere che, alla fine del mese, mi paghino per farlo.

È il mio segreto.

È la mia scherma, la mia ambizione, la mia felicità, vissuta una torta alla volta, incurante delle conseguenze, e legatissima a ciò che resta per me.

Per me come donna, e per me come atleta.

E forse è davvero così che lo sport andrebbe vissuto, dai bambini come dagli adulti, dai campioni come dai principianti: molto più che un mestiere, ma molto meno che un lavoro.

Bello come il primo giorno, e con in palio premi scintillanti, che ti fan girar la testa.

Anna Bashta / Contributor

Anna Bashta