Blanka Vlasic

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Quando ho fatto il primo salto ho capito.

Ho capito che quello era il posto giusto per me, quello in cui dovevo stare.

Ho capito che non avrei più avuto bisogno di provare altro.

Mi aiutava il fatto di essere alta, forte, coordinata.

Mi aiutava il fatto di avere una predisposizione naturale.

Talento.

Ma c’era anche dell’altro, qualcosa di intangibile, che io ho sentito subito.

Qualcosa di indescrivibile eppure perfetto: come quelle mattine in cui ti svegli e hai l’assurda certezza di essere invincibile, che tutto sarà perfetto e che quello sarà un giorno da ricordare.

Un feeling, una sensazione, una scintilla che all’improvviso ha dato uno scopo ben preciso alla mia passione, a quel fuoco di rabbia competitiva che mi aveva sempre bruciato dentro.

Ha preso tutti i miei pensieri, e ne ha fatto un’idea.

Blanka Vlasic

I primissimi ricordi della mia vita sono tutti un po’ sbiaditi, persi tra i racconti degli altri e quel poco che sono ancora convinta di ricordare per davvero.

So per certo che amavo il mare, e quando è nato il mio fratellino, non facevo altro che chiedere alla mamma quando ci avrebbe portati in spiaggia.

Siamo cresciuti in una località turistica, ed ero talmente innamorata del mare che passavo il mio tempo a canticchiare una canzone per lui, in suo onore: gli dedicavo una vecchia filastrocca che parlava dei suoi segreti e dei suoi misteri.

Misteri che pensavo di conoscere, e che promettevo di custodire per sempre.

Ma se zittisco quel ricordo, tutte le altre immagini della mia infanzia e della mia adolescenza hanno a che fare con lo sport.

E, soprattutto, con il mio modo di viverlo.

Blanka Vlasic

I nostri genitori erano entrambi professori di educazione fisica, e papà allenava anche la squadra di basket del paese. Così, le nostre giornate, non appena uscivamo dal cortile della scuola, si sviluppavano interamente intorno allo sport.

Basket, gare di atletica improvvisata: anche il più semplice dei “nascondini” finiva sempre col diventare motivo di sfida, di competizione, di confronto.

Era costruito intorno allo sport.

Le mie giornate.

Il mio umore.

La mia vita.

Ero quel tipo di ragazza che usciva non appena finito il pranzo e che rientrava soltanto alle dieci di sera, quando ormai non c’era più un filo di luce per vedere il pallone e mentre la mamma, esasperata, gridava forte il mio nome dal balcone di casa.

C’era qualcosa in me di veramente unico.

Come un interruttore, impossibile da governare.

Come una voglia che non ti abbandona mai, anche se non sai esattamente il perché e anche se non sai quand’è stata la prima volta che ti ha attraversato il cervello.

Blanka Vlasic

Preferivo la compagnia dei ragazzi, perché erano ancor più competitivi delle ragazze, e mi arrabbiavo moltissimo quando provavano ad escludermi dai giochi che reputavano “loro”, come il calcio.

Quello di desiderare sempre il confronto era proprio un tratto del mio carattere, non soltanto del mio modo di intendere lo sport.

I miei genitori raccontano che anche i giochi da tavola, con me, potevano velocemente finire in disgrazia: una partita a Monopoli, finché vincevo, filava liscia, ma se qualcosa del mio impero immobiliare iniziava a scricchiolare, ero capace di chiudere la partita in un istante, per me e per tutti gli altri.

Avevo un temperamento indomabile, orientato alla sfida, sempre alla ricerca di un’affermazione personale, di un indizio per capire chi fossi e quanto lontano potessi arrivare.

Non è una qualità facile da avere, soprattutto quando sei la sola persona che sente di essere ancora in gara per qualcosa, mentre quelli intorno a te stanno soltanto cercando di divertirsi.

Io giocavo sempre e comunque per arrivare prima ed è stato proprio nello sport che ho trovato l’equilibrio per trasformare tutto questo in qualcosa di estremamente positivo.

Blanka Vlasic

Tutti si aspettavano tanto da me.

Tutti si aspettavano un Record del Mondo ogni volta che salivo in pedana.

Ma le pressioni altrui non erano affatto un problema, perché io mi aspettavo il Record del Mondo più un centimetro, ogni volta che salivo in pedana, ed era al mattino, allo specchio, che dovevo affrontare il mio critico peggiore.

Ho dovuto imparare a gestire la rabbia della sconfitta, volente o nolente, perché nello sport conta solo il domani, e, molto spesso, quel domani si costruisce sulle macerie emotive di una serata no.

Diventare migliore, diventare più forte: la vittoria ti accarezza, e dura il tempo che ci metti per tornare a casa. Perdere, invece, deludere te stessa, lascia un livido, ti resta addosso, e devi essere brava ad attraversare tutte le fasi del pianto e del lutto nel minor tempo possibile, perché di lì a qualche giorno devi esser pronta a ricominciare da capo.

E, una volta lì, chi sei stata fino a ieri, cosa hai vinto in passato e come ti senti non interessa davvero a nessuno.

Blanka Vlasic

Se guardo indietro, è evidente che le mie più belle vittorie sono nate dalle sconfitte peggiori, in un rapporto di causa-effetto che è molto più semplice da comprendere oggi, che in pedana non ci vado più, di quanto non fosse allora, con tutta l’emotività del momento.

Anche per questo, tra tutti gli sport, il salto in alto è stato quello giusto per me.

Era il solo capace di riempire il mio corpo e la mia mente, dandomi sempre qualcosa a cui pensare, qualcosa da allenare.

Il solo sport in cui fossi capace di trasformare in energia positiva anche i momenti bui. Il solo in cui non mi annoiassi mai, anche di fronte alle lunghissime sedute di allenamento e all'infinita serie di dettagli che devi curare per competere al più alto livello. Il solo che fosse in grado di darmi una sfida talmente difficile da non bastarmi mai.

Blanka Vlasic

Niente può competere con la sensazione che provi in uno stadio pieno, quando sei al terzo tentativo per una misura che vale l’oro, tre ore dopo l’inizio della tua gara.

Il corpo è a pezzi, i nervi sono appena sotto la pelle, e proprio quando le energie stanno finendo, ti viene chiesto di esprimere il tuo massimo, magari addirittura di fare qualcosa che nessuno ha mai fatto prima di te.

Il salto in alto ti chiede tutto.

E devi essere pronta a darglielo.

A partire dalla condivisione delle emozioni che senti dentro, salto dopo salto, dialogando con il pubblico, lasciando che le parti più nascoste di te vengano fuori, perché è da quel flusso di energia che prendi quel che ti serve per saltare oltre l’asticella.

È il bello dell’essere atleta, il bello di sentirsi sempre al centro dell’universo e di scoprire qualcosa di sé nell’emozione del momento.

Ora che saltare non salto più, e che sto per diventare mamma, sono pienamente consapevole che ci sono cose molto più importanti di un titolo mondiale o di un Record del Mondo, ma se sono stata in grado di trovare me stessa lungo la strada lo devo anche, se non soprattutto, allo sport.

Blanka Vlasic / Contributor

Blanka Vlasic