Gianni Caprara

Gianni Caprara

19 MIN

Il primo mondiale

Difficilmente mi volto a guardare indietro. Ma questo e’ un momento di riflessione.

Mi sono concesso un anno sabbatico.

Mi accorgo di aver giocato 3 mondiali con squadre di 3 nazioni diverse.

Come è possibile? Io vengo da un piccolo paesino di campagna che amo e che non avrei voluto lasciare: Medicina (BO).

Venti anni fa un mio amico al bar mi chiese:

Gianni ma tu non sogni di allenare in serie A?

La mia risposta fu veloce e sicura:

no, mi piacerebbe creare qualcosa di buono qui da noi.

Da lì a breve capii che avevo bisogno di confrontarmi e di uscire se volevo imparare il mestiere.

Non ero più giovane (36 anni) e da 16 stagioni cercavo inutilmente di alzare il livello della pallavolo a casa mia.

Mi metto in discussione con una gran voglia di imparare e incredibilmente mi si aprono le porte della serie A come assistant coach e poi come capo allenatore.

Mi ricordo ancora la telefonata del presidente di Reggio Calabria che mi chiese se me la sentivo guidare la sua squadra.

Caro presidente io non ho nessun problema, al massimo torno da dove sono venuto.


Invece si decolla e l’aereo mi porta addirittura in Russia proprio nello stesso anno in cui divento padre.

Siamo nel 2005 e la Federazione Russa ha pensato a me per sostituire colui che in patria e in tutto il mondo viene considerato un maestro di volley: Nikolaj Karpol alla guida della nazionale da almeno un ventennio.

Il primo anno arriviamo terzi al Campionato Europeo e capisco che ho bisogno di avvicinarmi alla loro cultura.

La mia compagna Irina Kirillova mi fa da assitant coach e mi aiuta a capire meglio la loro mentalità .

Io utilizzo l’inverno per studiare il russo e mi presento l’estate seguente al ritiro con la nazionale esprimendomi con la loro lingua. Capisco immediatamente di aver fatto centro perché le ragazze apprezzano e mi ripagano con una maggiore attenzione e fiducia.

La stagione sarà lunga perché il Mondiale si giocherà a novembre in Giappone.

Per noi è un grosso vantaggio perché dobbiamo capire come rincorrere il Brasile, la squadra più forte in assoluto.

Il Grand Prix che si gioca in estate mi da indicazioni importanti per cambiare un paio di giocatrici.

Non voglio il secondo posto!

Le ragazze lo sanno, sono stato chiaro fin dall’inizio.

Lavoriamo per arrivare prime.

Mi rendo conto che riesco a vedere lontano.

Dalla squadra titolare escono una schiacciatrice e l’alzatrice.

Il cambio della regia viene mal digerito dalle senatrici.

con Patkin e Irina in nazionale Russa

con Patkin e Irina in nazionale Russa

Comincia un lungo lavoro di condivisione e spiegazione della scelta. Marina Sheshenina, fino ad allora titolare, è molto brava con i centrali e dotata di grande intelligenza tattica, ma corre piano e le palle alzate ai laterali arrivano spesso imprecise.

Contro il Brasile non può essere sufficiente: loro difendono bene su tutto.

La nostra speranza è che i nostri 3 laterali facciano qualcosa di straordinario in attacco. Ne hanno le capacità. Si chiamano: Gamova, Sokolova e Godina.

Il meglio che c’è su palla alta.

L’altra alzatrice, Marina Akulova è esattamente il contrario della prima e senza esperienza internazionale. Corre veloce ed è precisa da ogni parte del campo per i laterali.

Comincia la rincorsa.

Abbiamo la possibilità di giocare due partite contro il Brasile durante il Grand Prix e ci servono tantissimo. Le perdiamo entrambe ma nella seconda (in finale) ci avviciniamo un po'.

Il periodo di preparazione al mondiale lo dedichiamo solo a preparare la partita contro la Cina sapendo sarebbe stata la chiave per raggiungere la semifinale, ed a studiare al video il Brasile.

Durante i lunghi periodi di ritiro a Novogorsk (centro dello sport olimpico di Mosca) lo staff fa notare che le nostre ragazze non cantano l’inno nazionale.

Irina fa notare a noi che loro per cultura di solito non lo fanno.

Decidiamo insieme di allenarle anche in questo.

Premio Persona Goda ( allenatore dell'anno di tutti gli sport) Russia 2006

Premio Persona Goda ( allenatore dell'anno di tutti gli sport) Russia 2006

Negli ultimi allenamenti prima di partire per il Giappone, ci presentiamo in palestra con la bandiera russa e la musica dell’inno. Le ragazze sono schierate con i fogli in mano (alcune non conoscono le parole) e cantano. Dapprima con timore, poi i sorrisi illuminano i loro volti e la voce esce squillante. Bellissima emozione. Anch’io imparo la prima strofa e la canto tutt’ora.

In Giappone ci aspetta un torneo molto duro. La formula non consente di sbagliare niente. Praticamente devi giocare 9 partite e le prime due squadre accedono alla semifinale. Due partite perse significa quasi certamente essere out e nella seconda parte incontreremo la bestia nera: il Brasile.

Arrivati in Giappone una settimana prima dell’inizio abbiamo in programma una partita amichevole con un club giapponese. Non ricordo nemmeno se l’abbiamo vinta o persa 3-2. Ricordo di sicuro la prestazione indecente della mia alzatrice e lo scoramento delle senatrici. Finita la partita parlo subito con Ljuba (Sokolova) e Katia (Gamova).

Godina era tranquilla.

Dico loro che devono provare a tenere tranquilla Akulova, che i loro volti devono trasmetterle serenità e fiducia. Con Sheshenina sono sicuro che andremo a medaglia ma sono altrettanto certo che il primo posto non è possibile. Con Akulova possiamo arrivare primi o fare un flop. Suggerisco anche a Ljuba di darmi dei feedback durante le partite che contano, se ritiene il caso di cambiare l’alzatrice me lo faccia sapere.

Giochiamo bene e vinciamo le prime 8 partite, tutto va secondo i piani. Dobbiamo giocare l’ultima partita della prima fase contro il Brasile. Ma è inutile serve solo a stabilire primo e secondo posto del girone.

Una grande opportunità di imparare ancora. Tengo Ljuba a riposo perché ha qualche acciacco.

Perdiamo ancora ma riduciamo ulteriormente le distanze. Semifinale contro l’Italia. Partita difficile per me.

Il presidente Magri incontra Irina in albergo e le lancia una battuta del tipo: domani vi diamo una bella pettinata.

Sarà 3-0 per noi.

Senza storia. Inevitabile che Irina finita la partita ricordi al presidente che, in caso l’avesse smarrito, lei possiede un ottimo pettine.

Marina Akulova

Marina Akulova

E’ il grande giorno. Siamo in finale e sappiamo molto bene che è l’ultima occasione di dimostrare i nostri progressi.

Il Brasile ci aspetta. Nel primo set non c’è partita. Sembriamo ancora in albergo. Ci riprendiamo vincendo secondo e terzo.

Un calo fisiologico nel quarto porta l’incontro al tiebreak.

Sul punteggio di 10-11 per il Brasile, Katia mette in pratica uno dei colpi sui quali avevamo lavorato tanto: parallela forte su Fofao, alzatrice Brasiliana. Sheila riporta in vantaggio le Carioca e sulla palla seguente Ljuba attacca out di pochissimo.

11 -13 Brasile e time out.

Sono stranamente calmo ma devo parlare in italiano ed Irina traduce subito. L’alzatrice si affida a Katia per due volte consecutive e accorciamo 12-13.

Va in battuta Ljuba e l’attacco di Sheila da seconda linea va out. Sono loro a chiamare time out.

Ricordo ad Akulova che molto probabilmente sceglieranno di attaccare contro il suo muro e di preoccuparsi di chiudere bene la linea. Murata vincente su Jacqueline. Match ball per noi.

Time out Brasile. Ricordo ancora cosa fare a muro.

Non serve, la ricezione brasiliana è lunga e Katia chiude facilmente nel campo avversario.

Cominciamo a saltare e a correre come dei pazzi. Gli abbracci con lo staff sono talmente vigorosi che rischiamo di spezzarci in due. Siamo vestiti di rosso, un colore che ho sempre amato e che mi lega a mio nonno Giovanni che voleva che io fossi vestito con un maglione rosso per riconoscermi in mezzo agli altri bambini.

Durante la premiazione vedo le ragazze cantare a squarciagola l’inno nazionale.

Mi sciolgo.

Ringrazio la mia compagna Irina, lo staff, le ragazze ed il grande Patkin, uomo della federazione che mi ha sempre sostenuto.

Arrivati a Mosca, senza passare da casa, dobbiamo incontrare il presidente Putin in un altro aeroporto perché era in partenza. E’ tutto pronto per il cerimoniale e ci fanno accomodare attorno ad un tavolo.

puttin

Giornalisti e televisione sono pronti ad immortalare l’incontro. Un uomo mi si avvicina e mi dice che il Presidente Putin mi vuole parlare in privato: mi alzo ma mi tremano vistosamente le gambe per la stanchezza e le troppe emozioni.

Entro in una stanza dove il Presidente stava parlando al telefono in inglese.

Mi fa segno di avvicinarmi e mi passa la cornetta. La prendo e dall’altra parte c’era il Presidente del Consiglio Italiano Romano Prodi.

Quasi svengo.

Dal mio bar di campagna a parlare contemporaneamente con Putin e Prodi il salto è esagerato.

Chi mi conosce fin dalla infanzia sa che i miei piedi sono ben attaccati al suolo e di questo ne vado fiero.


Il secondo Mondiale

Nove anni dopo si rinnova il mio appuntamento con il Mondo.

Sono alla guida di un club turco: Eczacibasi Istanbul.

Due mesi prima abbiamo vinto incredibilmente la Champions League battendo in finale una squadra italiana. Il capolavoro lo abbiamo fatto in semifinale vincendo il derby contro il Vakifbank.

È la prima volta in 50 anni di storia del club che entra in bacheca la Champions. Sono un uomo fortunato.

Entro di diritto nella storia di uno dei club più prestigiosi al Mondo.

Vincendo la Champions ci meritiamo il diritto di disputare il Mondiale per Club a Zurigo in maggio.

La data della finale purtroppo coincide con la Prima Comunione di mia figlia. La cerimonia inizia alle 11 di mattina in una chiesa di Novara, mentre la finale per il primo posto è in programma alle 15 a Zurigo.

Non penso nemmeno per un secondo di non giocarla.

Calcolo il tempo che ci vuole in macchina da Zurigo a Novara.

Ho la possibilità di accompagnare mia figlia in chiesa e scappare subito senza vedere la cerimonia.

Voglio esserci.

Posso preparare le finale in serata e poi partire per Novara.

Vado dai dirigenti del club a spiegargli le mie esigenze. Mi capiscono ma mi dicono solamente: pensa a portare la squadra in finale e poi ne parliamo.

Mi fido.

Mi concentro sulla squadra: è un appuntamento storico per tutti ma soprattutto per il club.

Questa volta la formula è semplice. Due gironi da 3 squadre e le prime due accedono alle semifinali.

Ci aspettano un club giapponese e uno russo.

Tutti ci danno per sicuri semifinalisti.

caprara

Giochiamo la prima partita contro il club giapponese dell’Hisamitsu. Giochiamo con poca lucidità e molti errori. Perdiamo malamente 3-2. Sappiamo molto bene che si fa dura. Durante il ritorno in pulman in albergo comincio a pensare cosa dire alla squadra.

Mi accorgo di vedere avanti.

Capisco molto bene che questa sconfitta è una grande opportunità e ne conosco le ragioni.

Lascio cenare la squadra in tranquillità e poi convoco una riunione.

La squadra si aspetta un cazziatone, i visi sono ovviamente tesi.

Io inizio con una domanda:

Vi fa male al cuore? Siete tristi?

La risposta è scontata. Ma non le mie successive parole.

Molto bene. Adesso è il momento della sofferenza e dobbiamo saperlo fare insieme.

Sappiate che questa sconfitta SOLO per 3-2 è una grande opportunità di vincere il torneo.

Perché oggi abbiamo imparato qualcosa e sono sicuro che domani contro le russe saprete voltare pagina e vincere. Sono 20 giorni che non giochiamo, per vari motivi, una partita vera, da dentro o fuori, e oggi l’abbiamo pagata. Se avessimo vinto facile 3-0 probabilmente l’avremmo pagata in semifinale. Questa sconfitta ci fa male ma è recuperabile. Andate a riposare e recuperare energie che ci serviranno domani.

I l giorno dopo ci aspetta la Dinamo Krasnodar e vinciamo facile 3-0. Dall’altra parte della rete alcune ragazze che erano con me 9 anni prima, fra le quali Ljuba.

Sarà semifinale contro il Volero Zurigo padroni di casa e già affrontate durante i play off di Champions.

Anche allora la sorte fu dalla nostra parte con un rocambolesco Golden set giocato proprio a Zurigo e recuperato da uno svantaggio enorme.

La semifinale inizia sul velluto. Giochiamo bene e ci portiamo sul 2-0. Le svizzere cominciano a salire di livello. Facciamo fatica a contenerle. Perdiamo malamente il terzo e fatichiamo moltissimo nel quarto.

Ma abbiamo imparato a soffrire. Lo sappiamo fare adesso e lo vogliamo. Finisce un lunghissimo testa a testa a nostro favore 34-32.

Ci giochiamo la finale contro le russe del Krasnodar. Buon per me perché avendoci giocato due giorni prima la partita è più veloce da preparare.

caprara

mondiale per club con Eczacibasi

Finita la partita i dirigenti mi chiamano.

Domani mattina alle 8.30 un volo privato ti porta a Malpensa e alle 12.30 ti riporta a Zurigo.

Non ci posso credere. La bicicletta è il mio mezzo abituale di trasporto e domani ho un volo tutto per me.

Tutto organizzato alla perfezione. Sul volo sono coccolato.

Non sono a mio agio ma mi sento felice di partecipare alla Prima Comunione di mia figlia. Lei non sapeva niente perché io e Irina, non potendo prevedere come sarebbe andata la semifinale, non le avevamo detto niente per non creare aspettative che non potevamo assicurare. Quando la vedo nel vestito bianco ormai cado per terra.

È bellissima e io mi sento ancora più fortunato. Riesco anche a vivere 30 minuti di cerimonia. Mando un bacio volante a mia figlia e scappo fuori.

Alle 13.30 sono seduto sulla panchina della mia squadra, fisicamente provato ma con le idee chiare in testa.

Le ragazze sanno benissimo quello che devono fare e rimango seduto per lunga parte dell’incontro.

Mi alzo nel terzo set perché cominciamo a soffrire dopo essere andate in vantaggio 2-0. C’è fretta di chiudere.

Abbiamo perso la pazienza e il set 26-24. È  solo un attimo. Riprendiamo le redini del gioco e vinciamo il Mondiale.

Il primo nella storia del club e il mio secondo, con una nazione diversa. Questa volta è la bandiera turca, ma l’inno non l’ho studiato.

L’alzatrice brasiliana Fofao, che giocò la finale contro di me 9 anni prima, presente in questo torneo con il suo club, il Rexona, da l’addio al volley.

È un esempio di longevità (45 anni) , di tecnica, di passione e correttezza sportiva. Sono emozionato e orgoglioso di essere presente a questo momento.

Conservo con gioia la foto scattata fuori dal palasport.

champions league eczacibasi

champions league eczacibasi

Il terzo mondiale

Dopo il secondo anno di lavoro all’Eczacibasi il club turco decide di cambiarmi.

Per uno strano caso io e Massimo Barbolini ci scambiamo le panchine. Lui va in Turchia e io siedo su quella della Pomì Casalmaggiore che l’anno precedente aveva vinto in modo sorprendente la Champions League.

Accetto volentieri la proposta proprio perché c’è un altro Mondiale da giocare e con una squadra italiana.

Bello! Sono strafelice di poterlo fare con un paese che mi ricorda moltissimo il mio: sono grandi uguali e hanno radici di campagna.

Che bello sfidare il mondo in questo modo.

Ma questa volta il Mondiale si gioca ad inizio stagione a Manila nelle Filippine.

Lo so che è presto, ma sognare non costa nulla.

Questa volta il Mondiale per Club è di un livello molto più alto dell’ultimo.

Ci sono 8 squadre presenti e non 6. Almeno 3 ci sono superiori sulla carta: Eczacibasi Istanbul, Vakifbank Istanbul, Volero Zurigo e la squadra brasiliana del Rexona non è di certo inferiore a noi.

Siamo inseriti in un girone di ferro.

Il destino vuole che la prima partita sia proprio contro la mia ex squadra che durante l’estate ha cambiato 4 giocatrici titolari allestendo un vero e proprio Dream Team. C’è solo una turca in campo: il libero.

Veniamo asfaltati senza storia. Al di là dell’aspetto tecnico, mi rendo conto che la squadra gioca contratta.

Mal digeriscono i miei interventi.

Non c’è feeling.

Nel dopo partita convoco una riunione e tranquillizzo le ragazze facendo un passo indietro.

Giocate libere, ne avete bisogno in questo momento per esprimervi al meglio.

Dentro di me so che questo ci sarà utile nell’immediato ma che non potrà essere sufficiente.

Lo so, vedo avanti. Ma ora serve dare loro tranquillità, perché domani abbiamo la partita contro le brasiliane. Sarà decisiva. In caso di sconfitta non accederemo in semifinale.

mondiale per club con casalmaggiore

mondiale per club con casalmaggiore

Pur faticando in attacco, il cuore ed il coraggio ci portano agiocare il tie break.

E’ una lotta di nervi.

Le brasiliane hanno 3 match ball. Il primo sul 14-13 lo annulliamo con attacco di Gibbemeyer, il secondo sul 15-14 ce lo regalano loro con una battuta fuori e il terzo sul 16-15 lo annulliamo con attacco di Fabris.

Fabris regala un ace e il primo match ball per noi.

Vinciamo con un muro vincente di Lloyd.

È festa, sappiamo molto bene che questa vittoria ci darà il passaggio in semifinale, perché il giorno dopo, l’ultima partita del girone contro le All Stars delle Filippine sarà pura formalità. Troppo il divario tecnico.

Con questa vittoria la squadra cresce in fiducia e si appresta a giocare la semifinale contro il Volero Zurigo.

Ancora loro sulla mia strada. Sono una squadra fortissima, ma a mio parere regalano qualcosa sul piano tattico. Siamo brave ad approfittarne. Vinciamo in modo netto 3-1. Con il quarto parziale a 11.

In finale arriva, guarda il caso, proprio l’Eczacibasi Istanbul.

La pressione è tutta dalla loro parte. Sanno che possono solo vincere, una sconfitta sarebbe un dramma.

Noi invece siamo più sereni. Nessuno può chiederci risultato migliore. Squadroni come Vakifbank e Volero sono in tribuna a guardarci giocare.

Stiamo attaccate alla partita con le nostre armi: cuore e coraggio. Il nostro attacco è sempre in grande difficoltà. Nonostante questo riusciamo ad impattare una prima volta sull’1-1 e una seconda sul 2-2.

Ci giochiamo l’ennesimo tie break.


Conduciamo fino al 10-8 ma lì ci blocchiamo. Errori in attacco e ricezione.

La difesa e il muro avversario ci puniscono. Sconfitti 15-11.

Cuore e coraggio non sono bastati, perché a parità di valori o se sei inferiore, c’è bisogno anche di lucidità e organizzazione. Per noi era presto, ma purtroppo nel proseguo della stagione andò anche peggio.

E per qualche ragione assurda anche per le turche fu la stessa cosa.

Sono tristissimo, rimango ad onorare i vincitori e le mie giocatrici durante la premiazione camminando senza pace per il palasport.

Non riesco a proferire parola, cammino e il cuore si intristisce sempre più.

Vincere questo Mondiale sarebbe stato fantastico, soprattutto per il Paese ed il club.

Il mio sogno di vincerlo 3 volte con tre nazioni diverse svanisce.

Mi sto riposando in attesa di innalzare una bandiera diversa sul tetto del mondo, possibilmente quella italiana.

Questo racconto della mia carriera sportiva è dedicato a tutti quei colleghi che in qualche paesino di provincia, vanno in palestra dalle 16 alle 22 con la passione di insegnare volley nelle condizioni più difficili.

Continuate ad amare quello che fate e sappiate guardare avanti.

Tutto il meglio.

Gianni Caprara / Contributor

caprara