Letizia Paternoster

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I bambini sono come i marinai: dove si posa il loro sguardo, tutto diventa subito possibile. Nell’attimo stesso in cui l’hanno immaginato, tutto si avvicina a pochi metri di distanza.

Da grande voglio fare la cantante.

Da grande voglio fare il pilota.

Da grande voglio andare sulla luna.

Dicono che ad ambire di atterrare sulla luna, mal che vada inciampi sulle stelle. E che quindi vada bene così: punta in alto che qualcosa di sicuro poi succede. Ma è vero anche che nel provare ad indicare la luna con il dito a volte la si può confondere con un semplice lampione.

 

Quando ho iniziato a fare sul serio, con il ciclismo, i miei genitori non erano esattamente contentissimi della scelta. Nulla di problematico, ma forse avrebbero preferito per me uno sport più delicato, più femminile. Mia mamma soprattutto, che ogni tanto provava a trascinarmi a una lezione di danza.

Letizia Paternoster

Guarda” mi diceva “non vedi che belline che sono? E poi ci sono tutte le tue amichette”.

Ma più di questi timidi tentativi di farmi cambiare idea, quello che ricordo dei miei inizi è la capacità di mamma e papà di farmi credere che tutto fosse possibile.

Che ogni cosa desiderata si possa realizzare.

Non mi hanno mai detto che fosse meglio sognare in piccolo.

Non mi hanno mai fatto presente che in alto, nello sport, ci arrivano in pochi.

Non hanno mai provato a sfilare dal mio cuscino un sogno troppo grande per essere credibile, neppure quello di andare sulla luna.

E, per tutto questo, sono stata molto fortunata.

Letizia Paternoster

Ho sempre avuto una famiglia presente; oltre a quello con i miei genitori avevo un rapporto speciale anche con mio fratello e con nonna Emma.

La nonna è venuta a mancare l’inverno scorso e mi manca moltissimo. I cenoni organizzati a casa sua, con tutta la famiglia riunita, mi ritornano nella mente come se fossero ricordi di poche ore fa. Da lei ho imparato a stare al mondo, ho imparato l’educazione e il bisogno di trasmettere la propria allegria agli altri.

 

Di lei ho rubato un pezzetto di quel carattere che oggi mi porto appresso.

 

Mio fratello invece è stato il mio modello di comportamento per tanto tempo, il mio capitano. È di un anno più grande di me, appassionatissimo di sport e, per me, quello che diceva lui era sempre e comunque legge. Ad un certo punto mi hanno proprio dovuta scollare, perché io andavo dove andava lui e facevo quello che faceva lui.

 

La mamma ci chiamava:

Associazione a Delinquere di Stampo Birboso.

Perché sì: ne combinavamo tante ma, in fin dei conti, erano tutte marachelle senza scopo di lucro.

 

Comunque, grazie alla nostra piccola “Associazione”, ho provato un po’ di tutto prima di scegliere la strada del ciclismo. Down-hill, la BMX, lo sci di fondo e ovviamente il calcio: ci giocavamo tutte le sere, dopo cena, nel campetto del paese.

Stando a quanto raccontano i miei, però, il ciclismo ha avuto la mia predilezione fin dal principio. Quando ero ancora piccolissima quasi mi rifiutavo di camminare e non ero contenta se non avevo il mio triciclo a distanza di un braccio. Ero arrivata al punto di riuscire ad andare in bici senza le rotelle prima di imparare a camminare.

 

Per cui: gattonavo a quattro zampe fino alla bici, ci montavo sopra e da lì scorazzavo liberamente senza l’aiuto delle rotelline laterali.

 

Quella per i pedali è stata, ed è, una passione difficile da spiegare.

O da riassumere.

Io sono fatta così e quello è da sempre il posto in cui sono più felice.

 

Quando ho avuto l’età per desiderare una bici seria sono andata nel negozio di Maurizio Fondriest, che è un amico di papà, e lui ci disse che se avevo davvero una passione tanto forte per le due ruote mi sarei dovuta iscrivere alla squadretta locale, così avremmo visto che di pasta sono fatta. Se un consiglio del genere ti arriva da chi nella vita ha fatto il mestiere che sogni di fare anche tu: non ci pensi due volte a prendere una decisione.

Così ho cominciato a competere contro gli altri e a crearmi quel giro a tappe che ancora oggi prosegue sotto alle mie ruote.

Letizia Paternoster

Sono stati i risultati a farmi sentire pronta.

Ci sono atleti che hanno una forza dentro, una convinzione tale da sostenerli anche nelle difficoltà. Per qualcuno è necessario sentirsi forte per diventare forte veramente. Per altri, invece, funziona esattamente al contrario ed io appartengo di sicuro a questa seconda categoria.

 

Mi ricordo ancora lo stupore che ho provato ai Giochi Olimpici Giovanili del 2015, la mia prima vittoria internazionale con la maglia dell’Italia.

Vado forte anche contro le straniere.

Forse valgo davvero qualcosa!

Tutt’oggi non mi sento mai forte a prescindere.

Anche quando prendo parte a una gara nella quale so di avere delle ottime chance di vittoria, non sento mai sicurezza. Non parto convinta di essere meglio delle altre.

 

Mi piace stupirmi nel vedere quanto riesca ad andare forte.

Sono davvero felice se riesco a sorprendere me stessa.

 

Ovviamente, non sempre tutto va per il verso giusto. Capitano momenti negativi e periodi stressanti. Come nel Maggio di quest’anno, per esempio, quando ho perso un mese di preparazione a ridosso delle gare importanti per colpa di un’infezione renale.

Quando sono risalita in sella ho fatto fatica a ritrovare le mie sensazioni migliori.

Per tornare a sentirmi competitiva in breve tempo mi ha aiutato molto un mantra in cui ho sempre creduto:

se l’hai fatto una volta, vuol dire che puoi rifarlo sempre.

Letizia Paternoster

A volte mi capita che quando dico di essere una ciclista, a qualcuno che non mi conosce ancora, quello storca il naso e mi guardi un po’ dubbioso.

In molti si fermano al giudizio sull’aspetto estetico oppure regolano le loro aspettative a quello che credono sia giusto aspettarsi da una giovane donna.

Ma nella mia vita, come in quella di molti altri sportivi, si incrociano cose diverse tra loro ed ognuna ha il proprio peso specifico.

Mi piace curare la mia immagine.

Sono fiera della mia femminilità.

Me la porto sempre addosso come se fosse un profumo.

Io sono fatta così e il mio modo di essere si esprime alla stessa maniera, che io sia sulla sella, fuori per una serata tra amiche o a passeggiare in campagna insieme al mio papà.

Dietro all’immagine pubblica c’è altro.

Dietro l’immagine pubblica ci sono io, che sento di avere un Mondo dentro.

Ci sono sempre io, con i tacchi, con gli scarpini o con gli scarponi da sci.

E tra le cose di cui ho voglia io, c’è sicuramente il suono della sveglia presto tutti i giorni, per andare ad allenarmi.

C’è il desiderio di sacrificarmi, di sentire il dolore alle gambe e i crampi allo stomaco per colpa della fatica.

Perché niente mi da soddisfazione quanto l’adrenalina che torna in circolo, mentre siamo tutte spalla contro spalla, alla partenza di una gara importante.

Letizia Paternoster

Sono sempre stata un animale da gara, che si trasforma alla partenza.

Non un secondo prima.

Non un secondo dopo.

Ho bisogno di pedalare per capire come sto, per sentirmi capace di portare a casa un risultato che fin lì la mia testa ha soltanto immaginato.

È un crescendo continuo di adrenalina che si fatica persino a spiegare con le parole.

Tutto ruota intorno alla gara, anche durante l’allenamento.

In ogni seduta visualizzo pezzetti della prossima gara. Fingo di trovarmi spalla a spalla con un’avversaria, immagino di essere in un angolo preciso di strada che poi mi troverò davanti per davvero.

A mano a mano che mi avvicino alla partenza i miei livelli interni si spostano.

Da un lato il dubbio di non essere all’altezza delle mie aspettative si dissolve, lasciando spazio solo al gesto, solo al pedale.

Dall’altra l’adrenalina mi entra completamente in circolo, ne produco talmente tanta che non mi accorgo più di nulla e tutto quello che resta da fare è andare veloce.

L’unica cosa che conta.

Così ogni gara diventa un microcosmo a sé stante, al quale arrivo in un crescendo di scariche emotive e dal quale non scendo finché non rimetto i piedi per terra, dopo averli sganciati dai pedali.

Anche ora, che sono in vacanza sull’isola più bella del Pianeta, mentre la giro in bicicletta mi rendo conto che, chilometro dopo chilometro, smetto di osservare la bellezza che mi circonda e inizio a volare con la testa. Inizio a pensare alle prossime gare, ad immaginarmi i prossimi circuiti, le prossime battaglie.

È una sensazione precisa che nasce dal terreno, risale sulle ruote e mi arriva nello stomaco.

Questo è il mio sport.

Questo è il mio ciclismo.

Letizia Paternoster / Contributor

Letizia Paternoster